22 Novembre 2024
Armi (1)

Armi (1)

Roma ha chiesto aiuto agli Usa, ma c’è la fila. Le Forze Armate, come spiegano fonti accreditate della Difesa, soffrono di uno «scarso livello di munizionamento» che le mette in «seria difficoltà»

Sul mercato scarseggiano esplosivi e polvere da sparo, e il problema assume un rilievo di sicurezza nazionale. Perché le Forze Armate — come spiegano fonti accreditate della Difesa — soffrono di uno «scarso livello di munizionamento» che le mette in «seria difficoltà». Questa è una storia che parte da lontano. Nell’ultimo decennio in Italia, a fronte di un drastico calo della domanda, sono scomparsi i due terzi delle aziende produttrici. Le moderne tattiche di guerra avevano modificato le esigenze militari e per ragioni di costi si preferiva acquistare all’estero quanto serviva. Ma con l’invasione dell’Ucraina si è tornati ai conflitti novecenteschi, costringendo tutti i Paesi a una corsa affannosa per aumentare le riserve.
La carenza delle «materie prime», complice lo sforzo per sostenere Kiev, ha fatto sì che oggi negli arsenali italiani manchino munizioni di artiglieria pesante e leggera. «Sugli scaffali — confermano dal Copasir — dopo sei decreti di aiuti all’Ucraina non è rimasto molto». E le società fornitrici non sono in grado di gestire le richieste: servirebbero investimenti ingenti, che solo commesse stipulate (e in parte saldate) potrebbero determinare. Risultato: al momento i produttori hanno una «capacità ridotta». Gli ordini di consegna per le munizioni sono a tre anni, che diventano sei per i missili.
In questo contesto Roma ha provato a contattare Washington per garantirsi il ripristino delle riserve, ma dagli Stati Uniti è stato risposto che «bisogna mettersi in fila». E la fila è lunga. Perché le difficoltà accomunano (quasi) tutti gli Stati dell’Unione europea, tant’è che nell’ultima riunione Ue si è deciso di attingere anche ai fondi di coesione per acquisti comuni.
Da tempo in Italia, alti ufficiali dello Stato maggiore spiegano ai rappresentanti della politica che in queste condizioni, se in teoria il Paese venisse attaccato, «la capacità di resistenza sarebbe valutata tra le 48 e le 72 ore».
Sono molteplici le ragioni che producono un livello di sicurezza definito «inadeguato». Intanto il munizionamento deve essere periodicamente sostituito, perché prodotti come bombe e missili «scadono» dopo un certo periodo, smettono cioè di essere efficienti e rischiano di diventare persino pericolosi. Mesi fa lo stesso Zelensky disse pubblicamente che il materiale consegnato da una forza alleata «non ha funzionato in combattimento». E la scorsa settimana il Financial Times ha rivelato che venti cannoni semoventi M109L donati dall’Italia all’Ucraina sarebbero «inutilizzabili».
Il problema dei mezzi è l’altro aspetto delle difficoltà. Secondo un resoconto stilato dalla Difesa ai tempi del gabinetto Draghi, il grado di efficienza dei carri corazzati dell’Esercito «è ridotto al 25-30%» per l’«obsolescenza» del materiale e la «cannibalizzazione» dei pezzi di ricambio. L’Aeronautica vanta invece macchine di ultima generazione ma non dispone di una coerente quantità di missili, e sebbene sia stata decisa l’acquisizione di sofisticate batterie anti-missile, servirà molto tempo prima di installarle. Anche la Marina è all’avanguardia ma ha carenza di personale e in condizioni di combattimento disporrebbe di munizioni per una settimana.
Non a caso il ministro Crosetto sottolinea che «le esigenze di difesa nazionale impongono la disponibilità di scorte adeguate». A marzo, nel corso di un question time alla Camera, il rappresentante dell’esecutivo aveva spiegato che «bisogna ripristinare il materiale concesso a Kiev con i cinque decreti del precedente governo». E dinnanzi alle critiche dei neopacifisti grillini non solo aveva ricordato che «gli aiuti all’Ucraina sono stati votati anche da voi», ma aveva aggiunto che l’impegno di arrivare al 2% del Pil in favore della Difesa «è un obiettivo confermato dall’allora presidente del Consiglio Conte in sede Nato» nel 2018 e nel 2019.
Dopo lo scoppio della guerra, risolvere il problema delle scorte è diventata — secondo il sottosegretario Perego — «una questione strategica». Non è una postura bellicista dell’Italia di centrodestra. L’anno scorso il governo del socialdemocratico Schulz annunciò lo stanziamento di cento miliardi per rinnovare le strutture militari tedesche. E il presidente riformista Macron dichiarò che «la Francia è entrata in un’economia di guerra, perciò sarà indispensabile ricostruire rapidamente ciò che serve alle nostre Forze Armate».

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