19 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

di Giordano Stabile

Oggi le elezioni. Aumenta la presenza femminile, ma la politica resta in mano agli uomini

Sono 86 e vanno alla carica di un potere politico dove vige da sempre il monopolio maschile. Il record di candidature femminile è la maggiore novità delle elezioni di oggi in Libano. Da quando le donne hanno ottenuto il diritto di voto, nel 1953, soltanto dieci sono riuscite a conquistare un seggio all’Assemblea. Nelle elezioni del 2005, dopo l’assassinio del premier Rafik Hariri, in sei riuscirono nell’impresa. Nel 2009 il numero è sceso a quattro, su 15 candidate. Se si mantenesse la percentuale di successo, questa volta potrebbero essere in venti a sedere nel palazzo di fronte a Place de l’Étoile, circa un sesto dei 128 seggi.
In Libano la politica è questione di uomini, o al massimo di madri e consorti. Le deputate attuali appartengono alle famiglie che da quarant’anni decidono le sorti del Paese. Bahia Hariri è la madre dell’attuale premier Saad, e considerata l’eminenza grigia della dinastia. Nayla Tueini è la figlia del deputato e giornalista Gebran Tueini, anche lui assassinato. Nayla Moawad è la vedova di un’altra vittima del terrorismo, il presidente René Moawad. Strida Geagea è la moglie del leader cristiano Samir Geagea. Ma è chiaro che non è da queste «Madame» che può arrivare il cambiamento.
La condizione della donna è ancora in parte mediorientale. Non esistono le discriminazioni su base dottrinale islamica come nei Paesi del Golfo. Le libanesi guidano, lavorano, si divertono, portano sempre meno il velo. Ma la partecipazione femminile al lavoro è del 22 per cento, contro il 73 degli uomini. E soprattutto non esiste un codice di famiglia unico che protegga i diritti di donne e bambini. Le questioni famigliari sono delegate alle sette cristiane e musulmane, con 15 statuti diversi. È un buco nero nella legislazione di uno Stato sulla carta laico, che pone il Libano all’83esimo posto nel Gender Inequality Index.
Uno dei temi più controversi è la custodia dei figli in caso di divorzio e i diritti delle donne sull’eredità. I padri, mariti e figli maschi sono favoriti e stranamente uno degli statuti più generosi con le donne, per l’eredità, è quello sciita. Tanto che un premier sunnita, Salim al-Huss, si convertì per un giorno allo sciismo per fare un testamento più favorevole alla figlia prediletta. Il tema del codice di famiglia è il cavallo di battaglia di una delle figure emergenti fra le 83 candidate, Patricia J. Élias, militante per i diritti di donne e bambine nella Ong Avenir Liban.
Élias corre come indipendente nella lista delle Forces libanaises di Geagea e punta a una legislazione unificata per lo statuto di famiglia. Cita spesso il paradosso di Louis Aragon «la donna è l’avvenire dell’uomo», che ha tradotto in uno slogan: «la donna è l’avvenire del Libano». Sulla stessa linea, anche se in un campo concorrente, è Rola Tabsh Jaroudi, uno dei volti nuovi scelti da Hariri per la battaglia nel collegio di Beirut Ovest. In una zona fra le più miste del Libano poche centinaia di voti potrebbero essere decisivi.
Jaroudi punta sulle imprenditrici e ha già pronta una proposta di legge per «favorire con un taglio dei costi e della burocrazia le start up e le piccole imprese che costituiscono il 95 per cento dell’economia libanese». Ma soprattutto conta sull’effetto novità: «Non provengono da una famiglia politica, sono una cittadina comune». Nella Beirut dai grattacieli newyorchesi affacciati sulla Corniche sono temi che spopolano e potrebbero proiettare l’outsider fino al governo.
Ma nella periferia sciita dominata da Hezbollah, i temi sono altri e i volti femminili quasi assenti, anche perché il Partito di Dio è l’unico a non aver presentato neppure una candidata.

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