Un’altra manovra era possibile. Una manovra di sinistra, verrebbe da dire. A mostrare che questa parola ha ancora un senso, pure per il 2023, è la Spagna, dove nelle stesse ore in cui a Montecitorio prendeva faticosamente forma il testo della nostra legge di Bilancio, il Parlamento ha approvato il budget del premier socialista Pedro Sánchez per il prossimo anno. Una finanziaria in cui spiccano decisioni uguali e contrarie a quelle del governo Meloni: qui il Reddito di cittadinanza è smantellato, in Spagna l’equivalente “Ingreso mínimo vital” viene alzato per tenere il passo dell’inflazione; qui il Bonus cultura per i giovani è ristretto, in Spagna viene confermato e accompagnato da aiuti per gli affitti degli Under, con un aumento del 6,5% delle risorse per scuola e politiche giovanili. Le risorse, oltre che dai fondi europei, Sánchez le prende da una temporanea patrimoniale – parola ormai tabù in Italia – sulle fortune oltre i 3 milioni di euro.
Mettiamoci pure le coraggiose politiche sul lavoro della ministra Yolanda Díaz, che ha ristretto al minimo l’applicazione dei contrattini a tempo, senza nessun apparente terremoto per i conti delle imprese: in Italia, invece, la destra torna ad allargare le maglie dei voucher, tagliandi di occupazione povera e iper precaria. Quelle di Sánchez sono anche misure elettorali, è vero: il prossimo anno la Spagna andrà al voto. Ma non lo sono meno gli interventi di Giorgia Meloni su flat tax e “pace fiscale”. Solo che i due governi cercano il consenso tra elettorati diversi: qui tra Partite Iva, artigiani, cittadini con omessi versamenti al Fisco; lì tra i giovani, i più poveri, il lavoro dipendente. Il popolo della sinistra, verrebbe da dire. Che in Spagna, ecco la vera differenza, ha ancora una sinistra per cui vale la pena di votare.