22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Enrico Franceschini

Lo annuncia in una lettera pubblica il direttore della British Bankers’ Association

Le più grandi banche britanniche fanno piani per trasferirsi dalla City verso una destinazione sul continente europeo nei primi mesi del 2017. Motivo: l’ansia sull’incertezza nelle trattative fra il Regno Unito e l’Unione Europea su Brexit che cominceranno entro la fine di marzo prossimo. E le banche più piccole si preparano ad andarsene da Londra anche prima, entro Natale. Ad affermarlo non sono indiscrezioni di qualche fonte anonima, bensì Anthony Browne, presidente e amministratore delegato della British Bankers’ Association, in un articolo scritto per l’Observer. “Il dibattito pubblico e politico su Brexit ci sta portando nella direzione sbagliata”, ammonisce Browne nel suo intervento, che suscita stamane ampia eco sui media inglesi.
Nei giorni scorsi varie voci hanno riportato la possibilità che il governo di Theresa May cerchi di ottenere dalla Ue una sorta di accordo “alla carta”, in cui determinati settori dell’economia nazionale, in primo luogo quello finanziario, potrebbero restare dentro al mercato comune anche se la Gran Bretagna ne uscisse. Ma il ripetuto rifiuto da parte della premier May di accettare la libertà di movimento dei lavoratori, ovvero di rinunciare a porre limiti all’immigrazione, come prezzo per conservare un accesso di qualche genere al mercato unito europeo, pur uscendo dalla Ue (il cosiddetto modello Norvegia o Svizzera), fa temere nella City che un’ipotesi del genere non sia facilmente percorribile, neanche continuando a versare a Bruxelles parte dei contributi del budget comunitario. La fredda accoglienza riservata a Theresa May nei giorni scorsi al suo primo summit europeo sembra una indiretta conferma che la trattativa non sarà semplice e che la Ue opporrà una linea dura alla richiesta di concessioni da parte britannica.
In particolare, nell’ipotesi di una “hard Brexit”, cioè di un’uscita totale della Gran Bretagna dalla Ue e anche dal mercato comune, la cittadella londinese rischia di perdere i “passport rights”, il diritto di vendere servizi e prodotti finanziari al resto dell’Europa senza dover pagare dazi e tariffe doganali – come se appunto non ci fossero frontiere. Per non perdere questo tipo di business, che rappresenta circa il 20 per cento del fatturato della City, le banche pensano di traslocare almeno parte delle proprie attività e del proprio personale da qualche altra parte, andandosene via da Londra: a Dublino, Parigi o Vienna, per esempio.
Da questo viene l’allarme lanciato dal capo della British Bankers’ Association. “La maggior parte delle banche internazionali hanno già progetti per decidere quali parti delle loro operazioni devono essere trasferite per non perdere clienti”, scrive Browne. “Hanno già deciso la data in cui questo trasferimento accadrà e come compierlo al meglio. Le loro mani sono sul pulsante del trasloco. Molte piccole banche pianificano di effettuare il trasferimento prima di Natale. Le banche più grandi si preparano a farlo nel primo trimestre dell’anno prossimo”.
Il Ceo dell’Associazione Banchieri Britannici critica entrambe le parti. Al governo May ricorda che il settore bancario costituisce la più grande fonte di esportazioni nazionale: secondo CityUk, una think tank finanziaria, la City rischierebbe di perdere 70 mila posti di lavoro, senza contare l’indotto, in caso di esodo delle banche verso il continente. All’Unione Europea, Browne rammenta che le banche basate a Londra prestano all’Europa più di 1 trilione di sterline, “tenendo finanziariamente a galla il continente”, e rompere questo legame sarebbe rischioso anche per Bruxelles. Agli uni e agli altri sottolinea il pericolo di “creare un muro attraverso il canale della Manica dividendo il mercato finanziario europeo in due”. E lascia capire che non c’è più molto tempo per evitare il sorgere del muro: la scadenza è Natale per le piccole banche, marzo 2017 per quelle più grandi.

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