20 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

di Alessandro Barbera

La nota di aggiornamento al Def. Il Tesoro: una seconda ondata può far scendere di oltre il 10% il Pil del 2020

Una guerra convenzionale non avrebbe potuto fare peggio. Crescita in picchiata, spesa per pensioni in aumento, previsioni così incerte da costringere il ministero del Tesoro a formulare cinque scenari. Sarà un inverno difficile, inutile farsi illusioni. La nota di aggiornamento dei conti pubblici per il 2021 approvata ieri dal consiglio dei ministri dice che chiuderemo il 2020 con una contrazione del Pil del 9 per cento. C’è ancora tempo per vedere di peggio, tutto dipende dall’evoluzione dei contagi da Covid. Rischiamo -10,5 per cento e un impatto grave sulla ripresa dell’anno prossimo. Il governo oggi stima +5,1, ma se il mondo finisse di nuovo nel vortice della pandemia non resterebbe che un +1,8. Cinque le variabili: nuove misure restrittive, peggioramento del commercio mondiale, aumento del cambio euro-dollaro, del prezzo del petrolio, del differenziale fra titoli italiani e tedeschi.
Per l’Italia, uno dei Paesi con il debito pubblico più alto al mondo, sono numeri terrificanti. La spesa per pensioni, già la più alta della zona euro dopo la Grecia, quest’anno sfiorerà il 17 per cento della ricchezza prodotta. Un risultato alimentato dal crollo del Pil e aggravato – lo scrive la nota stessa – dalla decisione del primo governo Conte di introdurre «Quota 100», il meccanismo che permette ai 62enni con 38 anni di contributi il riposo in anticipo. È per questo che qualche giorno fa il premier – lo stesso che due anni fa si piegò al diktat di Matteo Salvini – ha annunciato lo stop al privilegio a fine 2021.
Con numeri così, i conti italiani sarebbero spacciati. Ci salva la moneta unica: alla fine di quest’anno la Banca centrale europea avrà acquistato circa duecento miliardi di emissioni obbligazionarie italiane che diversamente nessun altro avrebbe acquistato. Il meccanismo è in piedi fino a giugno del 2021, poi si vedrà. Nel frattempo l’Unione ci aspetta al varco. Per capirlo basta uscire dalla narrazione della pentola d’oro e leggere le condizioni alle quali l’Italia otterrà gli aiuti del Recovery plan. La lista delle raccomandazioni è lunga, spiegata bene bene nel documento: spending review, privatizzazioni, politica fiscale, politiche sociali, efficienza della pubblica amministrazione e via elencando.
Ecco perché l’anno prossimo non potremo più – come avvenuto quest’anno – aumentare la mole del debito, ormai prossimo al 160 per cento. Le risorse della legge di bilancio arriveranno «dalla rimodulazione delle spese» di «alcuni sussidi dannosi per l’ambiente», dal piano contro l’uso del contante. Il rispetto delle raccomandazioni vale fino a 65 miliardi di contributi a fondo perduto, più altri 127 in prestiti. Attenzione però: solo i primi non faranno salire il debito. I prestiti sì, dice da Bruxelles il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni: «Per i prestiti occorre considerare la sostenibilità del debito». Ogni riferimento all’Italia è puramente voluto. Il ministro del Tesoro Roberto Gualtieri punta tutto sui primi 65 miliardi. La spinta degli aiuti varrebbe quasi un punto di crescita (per la precisione lo 0,9 per cento) ma quei fondi arriveranno effettivamente entro la seconda metà del 2021? Occorre essere ottimisti: il Recovery plan dovrà essere approvato da ogni Parlamento dei 27 (in Finlandia incombe persino un possibile referendum), ogni piano nazionale da Commissione europea e consiglio. Prima di marzo impossibile fare previsioni certe. Se il Recovery si impantanasse, non resterebbe che il prestito senza condizioni del fondo Salva-Stati dedicato alla sanità, un tema delicatissimo per la maggioranza a trazione grillina. Il documento ignora accuratamente il punto.
In ogni caso il governo stima di varare a ottobre una manovra da quaranta miliardi di euro, ventidue dei quali generosamente concessi dall’Unione. La riforma fiscale si farà, ma con calma, «entro inizio 2022», dice Gualtieri. Nel frattempo «è possibile» (sempre parole di Gualtieri) che si trovino i fondi per finanziare l’assegno unico per i figli, un desiderata del Pd sin dall’anno scorso. Il ministro non a caso usa il condizionale. Prima di fare promesse deve trovare i soldi per rifinanziare il reddito di cittadinanza (la crisi ha aumentato il numero di domande), trovare i fondi per confermare il rafforzamento del bonus Renzi e il taglio dei contributi previdenziali al Sud. Le imprese premono perché si allarghi anche al Nord. Insomma, non ci salva nemmeno l’Europa solidale. Far tornare i conti sarà difficile come sempre.

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