Calano i prezzi statunitensi per il quinto mese di fila, a quota 7,1%. Biden cauto: «C’è ancora molto da fare». Le Borse brindano con cautela. Milano a +1,37 per cento
L’inflazione statunitense frena oltre le aspettative a novembre e le Borse brindano, con cauto ottimismo. Il picco delle fiammate dei prezzi potrebbe essere stato raggiunto. C’è ancora da capire se si tratta di un plateau, o se sarà una parabola discendente senza intoppi. Ma la certezza è che il tasso d’inflazione, su base annua, negli Stati Uniti si è contratto per il quinto mese consecutivo a quota 7,1%, il dato più basso dal dicembre dello scorso anno. Il presidente Joe Biden dice che “bisogna ancora fare molto”, ma gli investitori vedono una Federal Reserve meno aggressiva che nelle ultime riunioni. Domani si aprono le porte per un rialzo dei tassi da 50 punti base. Restano tuttavia elevate le possibilità di un ritracciamento futuro. A incidere la fragile situazione geopolitica mondiale e il rallentamento delle attività economiche. Fattori che, almeno oggi, non hanno influenzato né Wall Street né l’Europa, con Milano che ha chiuso a più 1,37 per cento.
La previsione era di un incremento del 7,3 per cento. Ed sarebbe già stato positivo, visto che in ottobre l’aumento dei prezzi è stato registrato a quota 7,7 per cento. Invece, l’indice CPI statunitense è salito di un decimale rispetto al mese precedente, il minimo da tre mesi e un terzo rispetto alle previsioni alla vigilia. Certo, nonostante il raffreddamento, l’inflazione annua resta oltre tre volte sopra il target della Federal Reserve, ma è stato abbastanza per far innescare una spirale di euforia nei mercati finanziari. I futures di Wall Street, prima della campanella sul floor della New York Stock Exchange, indicavano rialzi del 4% per molti comparti, a iniziare dal Big Tech listato su S&P 500 e Nasdaq. I dati diramati dallo U.S. Bureau of Labor Statistics (Bls), del resto, sono positivi. La pressione al rialzo più forte continua a provenire dal settore dei servizi, mentre i prezzi dei beni dovrebbero diminuire a causa dei miglioramenti nelle filiere globali di approvvigionamento. Basti pensare al segmento degli smartphone, che ha registrato una contrazione dei prezzi superiore al 20 per cento. L’inflazione Core, al netto di energia e alimentari, rallenta a novembre al +6% su base annua rispetto al +6,3% di ottobre e leggermente sotto le attese degli analisti che avevano previsto una crescita del 6,1 per cento. A livello mensile l’indice Core registra un aumento dello 0,2% rispetto al +0,3% di ottobre mentre le stime erano per un incremento dello 0,3 per cento.
A incidere in maniera negativa è ancora il comparto del cibo, con le uova in aumento di quasi il 50%, ma si allevia la pressione da parte della componente energetica. Fattore che potrebbe spingere Jerome Powell, numero uno della Federal Reserve, a decidere di tirare – si fa per dire – il freno a mano con la normalizzazione della politica monetaria statunitense. I dati occupazionali sono buoni, il credito al consumo regge, l’obbligazionario sta reagendo senza sussulti all’exit strategy dalla maxi liquidità post Lehman Brothers. Morale, 50 punti base di rialzo, invece dei tre quarti di punto che finora hanno contraddistinto le ultime riunioni della Fede, è lo scenario di partenza.Ne è convinto, oltre che la maggior parte degli analisti, anche Kevin Thozet, membro dell’Investment committee di Carmignac: “Questa settimana ci si attende un aumento dei tassi di 50 punti base. E dato il percorso annunciato della Fed verso un tasso del 5%, è improbabile che si verifichino grandi sorprese in occasioni delle prime riunioni del 2023, soprattutto considerando lo spostamento del focus di Powell dall’inflazione spot all’obiettivo più a lungo termine di un’inflazione al 2%”. Pertanto, spiega Thozet, “la politica monetaria è stata in qualche modo ridimensionata per la prima parte del 2023: ci sono voluti sette mesi per passare dallo 0,5% al 4%; ce ne vorranno tre per portare i tassi al 5 per cento”.
Analoga la visione di Tiffany Wilding, North American Economist di PIMCO, uno dei principali assett manager globali. I quali hanno rivisto le previsione per l’indice dei prezzi Usa. “Dopo il rapporto odierno e la mancanza di evidenze di un sostegno temporaneo ai listini legato all’uragano, abbiamo ridimensionato le nostre previsioni di inflazione per il quarto trimestre 2022 e il primo del prossimo anno, riducendo così le nostre previsioni per la fine del 2023”, spiega Wilding. “Prevediamo ora che l’inflazione Core CPI si attesti al 3,3% su base annua nel 2023 rispetto al 3,7% precedente. Ciò ha ridotto anche la nostra previsione di inflazione Core PCE al 2,8% annuo per l’anno 2023, anche se non di molto, dato che i prezzi delle auto usate sono considerati in modo diverso nell’indice PCE”, chiosa. La strada verso un ritorno alla normalità, come rimarcato da Biden, è ancora lunga. Ma i segnali positivi ci sono stati.
Tanto è bastato per far rimbalzare le piazze finanziarie globali. A iniziare dall’Europa. Piazza Affari è arrivata oltre il 2% di realizzo, ma ha poi ritracciato. Il Dax 30 di Francoforte ha chiuso a +1,27% a 14.488,95 punti, il Cac 40 di Parigi a +1,42% a 6.744,98 punti e il Ftse 100 di Londra lo 0,77% a 7.503,02 punti. Solido anche l’Ibex 35 di Madrid, che chiude a +0,84% a 8.327,98 punti, e l’Aex di Amsterdam a +1,70% a 732,95 punti. Nel caso del Vecchio continente, però, c’è da scontare una situazione ben diversa rispetto agli Usa. Sia per via delle dinamiche di formazione dei prezzi al consumo sia per via del ritardo con cui ha agito la Banca centrale europea rispetto alla Fed. Il picco dell’inflazione dell’area euro, secondo le ultime previsioni di Morgan Stanley, potrebbe osservarsi nel primo trimestre del prossimo anno.
Giovedì Christine Lagarde e Philip Lane, capoeconomista della Bce, presenteranno i nuovi dati macroeconomici per l’area euro. E potrebbero esserci sorprese positive. La cautela è d’obbligo, specie visto che l’inverno sarà lungo e la componente energetica potrebbe tornare in modo prepotente a occupare le prime pagine dei giornali, ma per ora basta un piccolo sollievo dei prezzi a ridare ottimismo a mercati finanziari che hanno fame di rendimento. Specie dopo un anno così travagliato come il 2022 diviso tra pandemia e guerra in Ucraina.