19 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

di Francesco Grignetti

Il piccolo schermo orienta ancora il voto di nove italiani su 10 secondo i dati Istat. I giovani credono più alle notizie riportate da amici che alla radio. E il digitale non decolla

Al gran mercato della politica c’è chi si affaccia con entusiasmo per la prima volta. Ma i 500 mila neo-diciottenni che il 4 marzo voteranno per la prima volta, la mitica classe ’99 a cui il Presidente della Repubblica ha dedicato un pensiero affettuoso nel discorso di fine anno, forse non sanno quanto i loro comportamenti siano studiati minuziosamente dagli analisti. Quanto e se s’informano di politica, con quale frequenza, come, attraverso quale canale.
A raccontarci la propensione degli italiani a informarsi e partecipare alla politica, per i giovani come per tutte le classi d’età, ci sono le tabelle dell’Istat. Che ci dicono, ad esempio, che anche qui esistono due Italie: c’è un 62,1% che si informa molto, tutti i giorni o quantomeno qualche volta a settimana; all’opposto, c’è un 36,6% che non si informa mai, o soltanto qualche volta a settimana, al massimo qualche volta al mese. E si badi che dieci anni fa si oscillava tra 57,4% e 40,3%. Andava peggio.
C’è anche una differenza di genere nel ripudio verso la politica: il 27,7% delle donne non si informa mai contro il 16,7% degli uomini. Attenzione alle medie e alle statistiche, però. È l’eterna questione dei polli di Trilussa. Se si approfondiscono i numeri e i trend, si scopre che i divoratori di politica, quelli che non lasciano passare un giorno per informarsi, sono appena il 13,1% dei diciottenni contro il 31% dei trentacinquenni, il 38,9% dei quarantacinquenni, il 46% dei cinquantacinquenni. Fino ad arrivare al 49,3% dei sessantenni che s’informa tutti i giorni.
Più cresce l’età, dunque, più monta la necessità di saperne. E viceversa. Così sono brutali le risposte quando si tratta di spiegare perché tanto disinteresse. Di quella frazione del 24,5% degli italiani che dichiara di «non informarsi mai di politica» (cioè un cittadino su quattro) il 61% ha fatto questa scelta perché la politica «non interessa», il 30% per «sfiducia nella politica», il 10% perché «è un argomento complicato», il 6% perché «non ha tempo».
I numeri non sono meccanicamente sovrapponibili, però è evidente che questa del disinteresse e della sfiducia è anche l’area dell’astensione. E come ci si informa? Ovviamente qui c’entrano le abitudini e l’età. I quotidiani restano il canale privilegiato dell’informazione politica per il 27,6% dei diciottenni (percentuale che si alza al 40% oltre i trentacinque anni). Ma nel tempo, si sa, il peso specifico della carta stampata è diminuito. Dieci anni fa, solo per restare ai diciottenni, i quotidiani pesavano per il 50%.
Di contro, per informarsi di politica, i giovanissimi contano immensamente di più sugli amici (45,2%), i parenti (42,4%) e i conoscenti (17,8%). Un’influenza, quella dell’ambiente in cui si vive, che cala con il crescere della maturità. A cinquantacinque anni, gli amici contano per il 24,5%, i parenti per il 15,3%, i conoscenti per il 12,3%.
La televisione, insomma, resta la regina incontrastata dell’informazione politica d’Italia. Come canale d’informazione – ci dice l’Istat – il piccolo schermo pesa ancora per il 90,4% ed è un dato abbastanza uniforme tra le diverse classi d’età, passando dall’84,2% dei diciottenni fino al 93% dei sessantenni. I tg non hanno affatto perduto il loro ruolo di informazione di massa. E non solo loro. Ha destato polemica che la Rai abbia ricondotto persino il Festival di Sanremo alle regole della «par condicio». Polemizza il dem Michele Anzaldi, segretario della commissione di Vigilanza Rai: «Aver inserito tra le deroghe anche la presenza di esponenti regionali è un refuso, come è auspicabile, oppure corriamo il rischio di ritrovarci sul palco il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti?».
Non meraviglia questa attenzione spasmodica alle tv da parte di tutti i partiti. Compresi i grillini che già diversi anni fa hanno abolito il veto sulla partecipazione dei loro leader ai talk-show (sia pure subordinandola alle loro regole). Anche se poi l’appeal di questi programmi d’approfondimento politico sembra davvero in caduta libera. Se la tv pesa tantissimo, l’ascolto di un dibattito politico è sempre più marginale come canale d’informazione: appena l’11,7% nella fascia che va da venticinque a quarantacinque anni (e soltanto un anno fa pesavano per il 14-15%); risale un pochino di più, al 21%, oltrepassati i cinquantacinque anni.
L’età conta, eccome, per quelli che s’informano di politica attraverso Internet. Ed era prevedibile: sono il 47-48% per i giovani fino a 34 anni, si passa al 31% dei cinquantacinquenni, si scende ancora al 25% dei sessantenni, e al 14% per gli ultrasessantacinquenni. In questo universo, i social contano per circa la metà, i siti di informazione per il resto. Non è una percentuale così disprezzabile, anche se forse sopravvalutata dal sistema dell’informazione. E allora si spiega perché l’arzillo ottantenne Silvio Berlusconi due mesi fa abbia avviato il suo profilo Twitter. E ieri twittava, alla maniera di Trump: «Cedere il Milan è stata una scelta inevitabile, nel calcio dei petrodollari. Anche se vederlo giocare con un modulo sbagliato mi fa venire il mal di stomaco». Vuoi mica abbandonare quella frazione (piccola o grande che sia) di elettorato che vive di calcio e Twitter?

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