Fonte: Corriere della Sera
di Dario Di Vico
In questi due mesi che ci separano dalle votazioni europee la strategia del governo sarà di non far accadere nulla di importante e di essere sempre altrove
La buona notizia è che dopo un incredibile ciclo di consultazioni regionali i cittadini italiani per due mesi non saranno chiamati alle urne. La cattiva è che in attesa del prossimo appuntamento, le elezioni europee, per il sistema Italia si prospetta un bimestre bianco. Come ben sanno gli operatori, l’economia reale assomiglia a un acrobata sul filo, resta in piedi ma rischia di cadere rovinosamente da un momento all’altro. Nessuno può dirci con certezza se la recessione alla fine si limiterà a restar tecnica ovvero rimarrà nell’ambito di una pura valutazione statistica oppure se dovremo scontare un nuovo ridimensionamento dell’economia italiana.
Che — ne dobbiamo essere coscienti — produrrebbe inevitabilmente una forte penalizzazione del peso della nostra industria e consistenti rischi per l’occupazione. Il guaio è che il governo e i partiti che ne detengono le chiavi non se lo chiedono con la dovuta ansia, sono già concentrati sulla campagna elettorale europea e sulla ricerca del posizionamento più opportuno per massimizzare le chance di successo di questo o quel leader.
Cosicché, come è già successo per la Tav o per l’adeguamento delle pensioni, la scelta più facile da adottare è quella di lanciare la palla in avanti per bypassare aprile e maggio. E di volta in volta Giuseppe Conte, Matteo Salvini o Luigi Di Maio appaiono come quei rugbisti che appena riescono a uscire da una mischia hanno un solo obiettivo: calciare il più lontano possibile. Con questa tattica di gioco i maggiori player della politica italiana pensano di riuscire, almeno nel breve, a mascherare le profonde divisioni di cultura politica, di differenti constituency elettorali e di incerti collegamenti internazionali che si sono palesate tra Lega e Cinque Stelle in questo primo scorcio di legislatura e che hanno originato le più incredibili piroette.
I maggiori leader sono diventati tutti e tre degli specialisti dell’altrovismo, studiano con grande applicazione mosse e spostamenti in maniera da essere sempre in un altro luogo rispetto a quello in cui dovrebbero esercitare il loro ruolo e la responsabilità istituzionale che ne consegue. Probabilmente è anche questa una novità della politica dell’era di Facebook e Instagram, scelgono con cura maniacale le tracce che vogliono lasciare. E soprattutto quelle che non vogliono. La conseguenza è che la comunicazione è sempre ricca e i problemi sempre orfani. Prendiamo il provvedimento chiamato, con una certa dose di incoscienza, «sblocca cantieri». È figlio delle polemiche e delle manifestazioni per le infrastrutture che si sono tenute in più territori ed è la risposta che il governo, a parole, vuole dare ai problemi della mancata crescita. Mentre scriviamo non si conosce ancora il testo definitivo perché lo stanno vergando a più mani le strutture tecniche dei ministri Toninelli e Tria (e anche in questo caso i ministri leghisti sono altrovisti). Le bozze che sono circolate però non autorizzano grandi speranze: le stazioni appaltanti godranno di una larga discrezionalità, si affermerà in più parti il primato della filosofia del massimo ribasso del prezzo e verrà istituita la figura del commissario straordinario. Il giudizio che viene dagli imprenditori dell’Ance-Confindustria, che ne dovrebbero essere in linea di principio i primi beneficiari, è impietoso. Le norme risentono delle differenti visioni economiche dei due ministri, non faciliteranno l’apertura dei cantieri e sono destinate a originare un contenzioso legale e giudiziario infinito.
La verità è che nella filosofia del bimestre bianco lo Sblocca cantieri rischia di diventare un provvedimento fake, serve solo a far alzare nominalmente le stime di crescita da inserire nello schema del Def, il documento di politica economica, che il governo deve produrre entro il 10 aprile. Cadendo in una fase della stagione politica nella quale i leader vorranno concentrarsi nel mestiere che adorano — la comunicazione politica — non deve accadere nulla di importante o addirittura irreversibile. Per cui con tutta probabilità il Def non potrà che essere un documento ipocrita con ampio uso di frasi di circostanza: si limiterà a sottoscrivere gli obiettivi già enunciati, ribadirà l’intenzione di neutralizzare le clausole di salvaguardia e soprattutto farà cadere lo spinoso tema della correzione fiscale da apportare al bilancio. Da qui al voto europeo non bisogna disturbare i manovratori Salvini e Di Maio. E l’economia può attendere visto che, secondo le conclusioni a cui sono giunti gli analisti del «fenomeno Salvini», non è più decisiva come in passato nello spostare i consensi. E permette quindi ai leghisti di essere sempre altrove, senza rimpianti.