Fonte: Corriere della Sera
di Antonio Polito
C’è invece qualcosa di più profondo che si comincia ad avvertire nel Paese. Ed è una stanchezza per la polarizzazione spesso futile che ha assunto il dibattito politico, e che si cristallizza intorno alla figura di Salvini, perfino suo malgrado
All’improvviso, le praterie in cui Capitan Salvini galoppava indisturbato si sono ristrette. Non si tratta solo dei sondaggi: quello di Pagnoncelli,
che pubblichiamo oggi, registra sei punti in meno dell’ultima rilevazione, ma un po’ tutti danno la Lega in sensibile calo dalle vette stratosferiche cui era arrivata. Potrebbe anche trattarsi di un semplice effetto mongolfiera: è una legge della fisica, prima o poi tutti i corpi che si gonfiano si sgonfiano. Ma è sul piano della geografia politica che si intravedono strettoie, gole, canyons, dove Salvini è atteso al varco.
Il primo problema l’ha già segnalato Francesco Verderami su questo giornale. I Cinquestelle hanno cambiato strategia. Hanno deciso di schiacciare Salvini a destra, cercando spazio a sinistra. Hanno scelto di risuscitare la questione morale per metterlo all’angolo, indicando dietro gli indagati Siri e Fontana, e anche oltre le loro responsabilità personali ancora tutte da accertare, un sistema politico che fa capo al Capitano. Hanno visto il bluff dell’alleato: vuoi votare? fai pure, vorrà dire che dovrai tornare nelle braccia di Berlusconi, nel vecchio centrodestra.
La mossa di annunciare già da adesso il no a qualsiasi rimpasto o nuovo governo dopo le europee equivale a tracciare un Rubicone, varcato il quale può esserci solo guerra. Il numero di forni a disposizione di Salvini si riduce, così come quello degli alleati. La logica proporzionale, soprattutto in Italia, si stringe come una tenaglia alla gola di chiunque cresca troppo. Intanto il processo di svuotamento dell’area berlusconiana, che potrebbe fornire al neo-leghismo una gamba di centro su cui poggiare, va a rilento: Forza Italia, seppure in calo, conserva un gruzzolo di voti decisivo per chi volesse rischiare elezioni lampo in autunno. Il Pd, che sembrava morto, è vivo; immobile certo, ma proprio per questo meno capace di farsi male da solo. E infine c’è l’Europa, che si sta rivelando troppo grande per le ambizioni del Matteo nazionale: se anche stravincesse le elezioni di fine mese, è molto improbabile che possa andare al governo a Bruxelles con Le Pen, e ancor di più con Merkel.
Ma tutto questo è tattica, lotta politica. C’è invece qualcosa di più profondo che si comincia ad avvertire nel Paese. Ed è una stanchezza per la polarizzazione spesso futile che ha assunto il dibattito politico, e che si cristallizza intorno alla figura di Salvini, perfino suo malgrado. Insomma: sembra che le urgenze dell’Italia siano l’invasione dei rom nelle periferie delle città o, dall’altro lato, quella dei fascisti nell’editoria democratica. Per risollevare una giornata no, si lancia la castrazione chimica. Per pareggiare una sconfitta politica sul caso Siri, la chiusura dei negozi di cannabis light. Ogni tanto spunta la leva obbligatoria o ci si rifà il make-up litigando con la ministra Trenta sull’ultima dozzina di immigrati. Tutte cose che fanno impazzire i social, ma hanno forse meno effetto nel Paese reale, dove si contano i soldi alla fine del mese e si cerca un lavoro per i figli. Il cattivismo è stata la chiave del successo di Salvini, ma la Bestia (come chiamano la macchina mediatica messa in piedi dal leader) è così famelica che può arrivare a mangiarsi anche il domatore. Se la gente si convince che al governo giocano a Fortnite invece di mettere mano ai problemi veri, allora non c’è Bestia che tenga.
Intendiamoci: Salvini resta il dominus della situazione politica italiana. Arriverà primo alle prossime europee. Sommato ai Cinquestelle ha ancora la maggioranza. Non si afferma un’alternativa, né in Parlamento né nel Paese. Ma soprattutto è lui l’unico ad avere in mano la carta delle elezioni anticipate, perché è l’unico cui possano convenire. Però si trova di fronte al passaggio più difficile della sua educazione da leader: deve decidere che cosa fare da grande, e deve farlo presto. È infatti illusorio pensare che dopo il voto le cose nel governo possano migliorare, una volta placata la competizione elettorale. Al contrario, possono solo peggiorare. Perché il governo del cambiamento ha sul groppone un aumento delle tasse (23 miliardi di Iva l’anno prossimo, e 28 tra due anni), e lì resterà se non trova una cifra equivalente; perché il deficit sta crescendo; perché il debito sta salendo; perché in nessuno altro Paese europeo il reddito cresce così poco come da noi.
In queste condizioni, e senza un accordo politico che superi un contratto ormai inesistente perché già sbaragliato dagli eventi, l’esecutivo non riprenderà slancio. E se anche riuscisse a vivacchiare, magari perché Salvini ha vinto meno del previsto e Di Maio ha perso meno del previsto, per far che? Lo sa dire l’uomo forte del governo, o lo devono dire gli elettori?