19 Settembre 2024
Intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale

Uno studio di DeepMind, che ha conquistato la copertina di Nature, mostra come il deep learning può essere di supporto nella verifica della validità di un teorema, potenziando le capacità dell’essere umano

Nel 1798, il matematico francese Adrien-Marie Legendre si trovava nel suo studio, fissando la lavagna su cui aveva scritto una sterminata sequenza di numeri primi. All’improvviso, capì quale potesse essere il legame tra loro e che fosse quindi possibile dare una descrizione approssimativa di un classico problema matematico: come sono distribuiti i numeri primi. È la prima formulazione del teorema dei numeri primi. Che non nasce da una fredda applicazione delle regole, ma al contrario, da qualcosa che potremmo definire un’illuminazione, un’epifania. Un’intuizione.
Non è un caso unico: anche Keplero, agli inizi del Seicento, raccontò di essersi trovato in uno stato “quasi sognante” mentre immaginava gli elementi da cui sono poi nate le Leggi di Keplero relative al movimento dei pianeti. Questi due aneddoti ci aiutano a capire come la matematica, ai livelli più elevati e teorici, funzioni in maniera molto differente da come noi profani potremmo immaginare: “È un processo che richiede moltissima immaginazione e creatività”, spiega a ItalianTech Petar Veli?kovi?, ricercatore serbo di DeepMind (uno dei più avanzati laboratori di ricerca sull’intelligenza artificiale, di proprietà di Google) mentre si trova a Roma in occasione di un evento organizzato da Pi Campus, un fondo di venture capital dedicato alle applicazioni più concrete dell’intelligenza artificiale. “A volte questo processo richiede un atto di fede: il matematico si convince di aver compreso quali siano le connessioni, per esempio, tra due oggetti matematici e poi deve riuscire a formalizzarle, a dimostrarne l’esistenza. E spesso fare tutto ciò è estremamente difficile”,
È qui che entra in gioco il modello di deep learning progettato all’interno di DeepMind da Petar Veli?kovi? e dai suoi colleghi che ha conquistato la copertina di Nature: un algoritmo in grado di supportare i matematici nella fase che dall’intuizione porta alla dimostrazione. In poche parole, dopo che uno studioso ha formulato una sua ipotesi, il modello di deep learning è in grado di generare i dati necessari a individuare delle correlazioni all’interno del quadro matematico oggetto di studio, aiutando il ricercatore a capire se sta seguendo la strada giusta e anche restringendo il campo, focalizzando la sua attenzione sugli elementi più importanti.
“In alcuni casi, l’algoritmo che cerca di prevedere il collegamento tra X e Y potrebbe già fornire un responso dotato di una certa accuratezza, tale da incoraggiare a passare direttamente alla fase di dimostrazione”, prosegue Veli?kovi?. “In altri casi possiamo invece interrogare il modello di machine learning, chiedendogli per esempio di evidenziare in un grafico quale sia stata l’area più importante che gli ha permesso di individuare il possibile legame tra i due oggetti matematici. Su questa base, l’algoritmo ci fornisce una porzione del grafico, passando magari da qualche migliaio di elementi a 10-15, rendendo così più facile ispezionarli a occhio nudo e comprendere quale sia il legame tra loro”.
Nonostante le evidenti potenzialità in campo scientifico, ci sono ancora parecchi progressi da compiere: “Le nostre tecniche di interrogazione sono ancora ai primi passi e c’è molto ‘rumore’ (ovvero dei disturbi nei segnali inviati dalla macchina, ndr) nelle risposte che ci fornisce”, prosegue il 28enne ricercatore di DeepMind. “I matematici con cui lavoriamo, e a cui mostriamo i grafici che ci vengono restituiti dall’algoritmo, sono però spesso in grado di distinguere il segnale dal rumore, aiutandoci nuovamente a migliorare i risultati che possiamo ottenere”.
L’algoritmo di DeepMind è già stato messo al lavoro su problemi matematici estremamente complessi come i polinomi di Kazhdan-Lusztig o la teoria dei nodi, riuscendo a individuare nuove relazioni tra i tratti (o “invarianti”) dei nodi (ovvero curve chiuse intrecciate nello spazio) che potrebbero avere applicazioni in campi come la fisica, la chimica e la biologia. “Si tratta comunque di uno strumento: una sorta di calcolatrice tascabile estremamente avanzata che permette di zoomare su una questione particolare e capire quali siano le parti più importanti, facilitando così l’individuazione delle connessioni”, spiega sempre Veli?kovi?.
È una collaborazione tra uomo e macchina in cui la parte più creativa e la fase finale della scoperta spettano comunque integralmente all’essere umano. L’algoritmo è un supporto che permette di individuare le aree più promettenti su cui focalizzare l’attenzione, “aumentando” quindi la capacità dei ricercatori di avere la giusta intuizione. Resta però una domanda aperta: che cos’è esattamente l’intuizione? “Quando usi questi termini in un paper sul machine learning c’è sempre un po’ il rischio di essere fraintesi”, ammette Veli?kovi?. “Diciamo che, in termini matematici, l’intuizione è la capacità di osservare problemi molto complicati, compiere un atto di fede mentale su quale sia l’elemento fondamentale del problema e poi lavorare per dimostrare la correttezza della nostra idea”.
Il lavoro compiuto da DeepMind, inoltre, sembra più in generale andare in una direzione ben precisa: l’intelligenza artificiale non sostituirà l’essere umano, ma ne aumenterà le capacità. “È una sinergia che rende l’essere umano più efficiente, proprio come una super-calcolatrice. Ovviamente, a seconda di come viene usata la tecnologia può anche rimpiazzare alcune mansioni, ma questo è normale. Dobbiamo essere attenti a come la usiamo, al fatto che sia equa e priva di pregiudizi, ma se impiegata in maniera corretta ci permette di potenziare l’essere umano”.
È una chiave di lettura ancora più importante, in una fase in cui si è ricominciato a parlare di intelligenze artificiali senzienti e della possibilità di raggiungere la superintelligenza tramite il deep learning: “Né gli psicologi né i neuroscienziati hanno ancora una definizione precisa di cosa sia la senzienza: alcune definizioni soddisfano qualcuno ma non altri, e nel frattempo tutti i programmi che hanno superato il test di Turing l’hanno sempre fatto tramite qualche trucchetto”, spiega il ricercatore di DeepMind, società la cui missione è per statuto quella di creare un’intelligenza artificiale generale. “Se guardi a tutti gli errori di questi sistemi si capisce che quel livello è ancora molto lontano: per esempio, puoi chiedere a un algoritmo di dimostrarti un’affermazione matematica falsa e lui lo farà, ovviamente in maniera scorretta. C’è una differenza tra la modellazione del linguaggio, cioè prevedere dal punto di vista statistico come completare una frase, ed essere parte della conoscenza umana. Detto questo, io penso che prima o poi conquisteremo la AGI (intelligenza artificiale generale, di livello umano). Ma non dobbiamo esserne spaventati, dobbiamo però pensare prima a come utilizzarla in maniera responsabile”.

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