5 Febbraio 2025

Non abbiamo perso tutti i treni sull’AI, non ci sono solo Cina e Usa. L’hi-tech è anche made in Italy. Ma dobbiamo avere più fiducia nelle nostre capacità

«Quando ero piccola, se facevo qualcosa di giusto, i miei genitori mi dicevano: brava sì, non male. Se fossi stata americana mi avrebbero risposto con entusiasmo: fantastico!». Kristalina Georgieva ha spiegato così, con questo esempio personale, la differenza tra lo spirito statunitense e quello europeo. «Gli Stati Uniti hanno la cultura della fiducia, l’Europa della modestia». Non crediamo che la francese Christine Lagarde, che partecipava con lei all’incontro del World economic forum di Davos, sia della stessa idea. Sulla modestia tenderemmo ad escluderlo. Le parole della direttrice bulgara del Fondo Monetario, che vive a Washington e ha preso il posto della stessa Lagarde, dovrebbero essere apposte come distico a qualunque progetto comunitario.
Un monito, uno sprone a credere di più in sé stessi, ad avere fiducia nel futuro. A investire nell’innovazione e non nella conservazione. A non arrendersi anticipatamente quando la partita, come quella sull’Intelligenza artificiale (Ai) per esempio, sembra ormai irrimediabilmente perduta. Nei giorni scorsi, durante un incontro Teha con gli imprenditori italiani, è stato chiesto loro se vi fossero nell’Ai delle chance europee. Nessuno ha avuto dubbi. No. Questo inizio d’anno, così instabile e foriero di tanti mutamenti sul piano geopolitico, ha visto irrompere sulla scena una sconosciuta start up cinese che ha sconvolto, almeno per qualche ora, i mercati finanziari. Ciò che fa DeepSeek, la società di Lian Wenfeng, sembra chiaro anche se i dubbi non mancano.

IDeepSeek e i tanti dubbi
DeepSeek ha rilasciato, in particolare, il ChatBot R1, cioè un programma che interagisce con il pubblico basato su un modello Llm (Large language model) che impiega un numero di Gpu (Graphics processing unit), ovvero di processori, nettamente inferiore a quello dei suoi più celebrati concorrenti come OpenAi, Meta o anche l’emergente Anthropic, che è il gruppo di Dario Amodei. Non solo meno Gpu, ma anche unità meno costose. E, soprattutto, un’applicazione open source, cioè controllabile e modificabile da altri.
Federico Fubini sul Corriere ha spiegato bene tutti i risvolti geopolitici dello scontro tra Cina e Stati Uniti e anche tutti i dubbi, in particolare sulla spregiudicatezza di Pechino nell’appropriarsi della proprietà intellettuale altrui. Comunque, DeepSeek è stata definita subito la Toyota dell’Intelligenza artificiale. Qualcuno si è spinto più in là nella metafora automobilistica: siamo già alle utilitarie dell’Ai. Il nostro Garante della Privacy, anche questa volta, come per ChaGpt, lo ha bloccato. In solitudine internazionale.

No alla resa anticipata
Secondo Nello Cristianini, docente di Intelligenza artificiale all’Università di Bath, è assolutamente un bene che vi siano già repliche a buon mercato delle grandi applicazioni e che il fossato tra grandi innovatori e potenziali concorrenti sia meno profondo e più colmabile del previsto. In un intervento nella newsletter Appunti di Stefano Feltri, l’autore di Machina sapiens (Il Mulino) si interroga sul fatto che forse abbiamo esagerato nel ritenere irraggiungibili come europei i progetti sull’Intelligenza artificiale. Anche se rimaniamo attoniti davanti alle dimensioni di Stargate, che promette di avere una dote di 500 miliardi di dollari. Azzarda Cristianini: «Anche l’Italia ha le risorse computazionali per generare modelli di questo livello, per esempio al Cineca di Bologna. Non sarebbe male vedere un prodotto in grado di competere con quelli americani e cinesi, con le stesse prestazioni sugli stessi test».
Forse il professore universitario è stato preso da uno slancio patriottico, non raro nei cosiddetti expat, però coglie un punto essenziale, più di carattere culturale. Nell’innovazione bisogna partire dal concetto che tutto sia possibile. La resa anticipata è il bromuro degli innovatori.

Il talento italiano non manca… all’estero
Possibile che l’Europa, la stessa Italia, non possano competere con americani e cinesi e nemmeno produrre uno straccio di utilitaria dell’Ai? Almeno una Panda?
Stefano Quintarelli, uno dei più riconosciuti esperti del mondo digitale, ex deputato di Scelta Civica, componente della Commissione Ue sull’Intelligenza artificiale, ed anche investitore in start up con il suo fondo di venture capital Rialto, riassume il suo pensiero sull’argomento con qualche esempio. «Conoscerete tutti Docusign che è un colosso, l’incumbent dei sistemi per il processing di documenti con valore legale negli Stati Uniti. Ora ha un rivale agguerrito. Si tratta di Proof, un’azienda sorta nella filiera del Massachusetts Institute of Technology, che ha raccolto una marea di soldi. Che cosa ha fatto Pat Kinsel, grande capo di Proof? Il giro degli Stati americani per convincerli della bontà dell’idea che la regolamentazione non sia un ostacolo al business ma che in questo caso, ne sia addirittura il presupposto. A noi europei, italiani in particolare, dovrebbe dirci molto o no?».
Tutto bene, ma noi che c’entriamo, Quintarelli? «Calma, a un certo momento, per completare la sua offerta di servizi con valore legale Proof ha avuto bisogno di una parte di tecnologia crittografica che assicurasse alti livelli di confidenzialità. E dove ha trovato Proof la tecnologia che cercava? In Europa in una società che l’ha sviluppata per risolvere problemi di privacy. Una bella realtà, fondata all’estero da un italiano. Invece di crescere in Europa, questa start up finirà in pancia a una azienda americana sostenuta da fondi di investimento che hanno 20 volte le disponibilità di quelli europei. Nelle tecnologie legate all’Intelligenza artificiale mi piace poi segnalare IStella, nella quale ha investito Renato Soru che si inventò Tiscali, o IGenius, fondata da Uljan Sharka, un ragazzo albanese immigrato in Italia, che vale oggi più di un miliardo. Un unicorno, come si dice, italiano. Nei giorni scorsi ho visitato un’azienda emiliana, Clevertech, che fa macchine per impacchettare i pallet. Nulla di più tradizionale. Ebbene applicando tecniche Ia di ottimizzazione, ha trovato il modo di confezionare meglio i carichi da consegnare ai clienti saltando vari passaggi di magazzino. I margini dei clienti, ristretti in quel tipo di attività, sono subito raddoppiati».

Le rondini
Sono esempi incoraggianti, ma rondini che probabilmente non fanno una primavera. «D’accordo, ma tutta questa narrazione sulla ineluttabilità della supremazia americana e cinese è fastidiosa oltre che controproducente — conclude Quintarelli — dovremmo chiederci se non rappresenti un alibi, una spiegazione di comodo. Perché, per fare un ulteriore esempio, tutte le nostre università italiane si affidano a Google o a Microsoft quando c’è un’alternativa come Garr, basata sull’open source che offre comunque servizi in rete e cloud? Forse perché inizialmente, ma solo inizialmente, sembra tutto gratis? Intanto, gli atenei si privano di tecnici e di competenze. Domanda provocatoria: Preferiamo dunque essere spettatori anziché attori e non avere problemi di gestione?».
In Europa non sono pochi né i capitali né le start up tecnologiche. Solo che il nostro risparmio gestito spesso affluisce su grandi fondi esteri che finanziano soprattutto aziende americane. O va a finire in grandi fondi che poi comprano aziende europee, molte italiane. Quello che manca, veramente, è alla fine riassumibile nelle parole della direttrice del fondo monetario: la fiducia in noi stessi. E se non ce l’abbiamo, possiamo tentare di darcela. Sperando che ci sia una differenza con il coraggio manzoniano.

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