Per ora il settore è dominato da Stati Uniti e Cina, con la California al centro dei più importanti progetti si sviluppo: a San Francisco hanno sede società come OpenAI e Anthropic
Durante un recente evento a Parigi, Emmanuel Macron ha detto che il prossimo AI Act (la legge europea sull’Intelligenza Artificiale che dovrebbe entrare in vigore nel 2024) dovrà essere teso a controllare questa tecnologia, non a punirla. Parole che testimoniano la preoccupazione del presidente francese sulla competitività europea in uno dei settori maggiormente strategici per i futuri scenari globali. Talmente strategico che anche i sauditi stanno muovendo le loro pedine, con investimenti miliardari.
L’Intelligenza Artificiale è destinata a ridisegnare gli equilibri, perché ha le capacità di rivoluzionare tutto ciò che tocca: la scienza, l’economia, la medicina, il lavoro, l’educazione, le armi. È una partita che mette in palio le nuove leadership, ma anche un business enorme: un mercato da 1.300 miliardi di dollari entro il 2032 (ne valeva 40 nel 2022) secondo un rapporto di Bloomberg Intelligence. Ed è per questo che è necessario giocarla al meglio.
Lo testimoniano gli Stati Uniti e la Cina, le due superpotenze che per ora dominano il settore dell’Intelligenza Artificiale in fatto di studio e investimenti. E non è un caso che all’exploit di ChatGPT, rilasciato dall’azienda californiana OpenAI a fine 2022, abbiano risposto immediatamente i colossi cinesi come Baidu.
La partita degli Stati Uniti
Va detto che attualmente gli Stati Uniti provano a giocare una partita a parte. Per capacità di investimento, laboratori di ricerca e start-up sull’Intelligenza Artificiale, è la California l’ombelico del mondo. È in California, a San Francisco, che come detto ha sede OpenAI, la società probabilmente più nota del settore, grazie a ChatGPT, che di fatto è anche la start up più finanziata al mondo (circa 11,3 miliardi ricevuti, di cui almeno 10 sono arrivati da Microsoft). Sempre a San Francisco ha sede Anthropic, la seconda start up più finanziata al mondo, fondata nel 2021 dai fratelli italoamericani Dario e Daniela Amodei. Senza dimenticare che è californiana pure Google, uno dei player più importanti al mondo nel settore. Google è anche considerata, a livello globale, fra i 18 centri di ricerca più affidabili sull’AI. Fra questi, altri sei istituti americani, come il Massachusetts Institute of Technology. Ma anche la francese Eurecom, e tre università cinesi: la Nanjing University, la Chinese Academy of Sciences e la Tsinghua University.
La prima risposta della Cina
A proposito della Cina, la prima risposta a ChatGPT, come detto, è arrivata proprio dal Paese del Dragone. A lanciarla è stata il colosso delle ricerche online, Baidu (da molti definita la Google cinese), che ad agosto ha presentato Ernie Bot. Ma al di là delle singole aziende (tra le quali figurano anche Alibaba, Huawei e SenseTime), la Cina vuole giocare un ruolo da protagonista nel mondo dell’AI come Paese. Il mese scorso, il presidente Xi Jinping si è fatto promotore della “Global AI Governance Initiative”, una proposta che chiede un ambiente aperto ed equo per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Il vero enigma, legato alla Cina, rimane il controllo: il partito comunista ritiene che l’AI generativa (quella in stile ChatGPT) apra le porte a nuove e vaste modalità di diffusione delle informazioni, difficili da controllare. E la vera domanda è: riuscirà Xi Jinping a controllare l’intelligenza artificiale senza schiacciarla? Secondo Visual Capitalist, dal 2013 al 2022, in Cina sono nate 1337 start up legate al mondo dell’AI, e sono state finanziate con 95 miliardi di investimenti privati. Numeri importanti, che diventano tuttavia piccoli se paragonati agli Stati Uniti (4.643 start up e 249 miliardi).
Le risorse messe in campo dall’Arabia Saudita
Ma esplorando i nuovi trend sull’AI, ce n’è uno che balza maggiormente agli occhi: quello del Paese con la più alta spesa pubblica dedicata all’intelligenza artificiale, in proporzione al Pil. È l’Arabia Saudita del principe Mohammed Bin Salman, che sostiene questo trend col programma Vision 2030: secondo un recente rapporto di PwC, si prevede che l’adozione delle tecnologie emergenti da parte di Riad contribuirà per circa il 2,4% al suo prodotto interno lordo entro il 2030. Proprio gli arabi hanno recentemente acquistato daNvidia circa 3mila processori H100, quelli necessari all’AI. Un altro indizio di quale sia la loro volontà.
I sauditi proveranno a giocare il ruolo di terzo incomodo, nella lotta fra Stati Uniti e Cina. Ma la corsa al terzo posto riguarda, per ora, anche altri attori. A partire da Singapore e Israele, fino al Giappone, Paesi che vantano eccellenze nel mondo dell’Intelligenza Artificiale.
Le mosse in Europa
Infine, c’è il discorso Europa, dove la frammentazione e una legislazione troppo rigida rischiano di essere delle zavorre sui piani di sviluppo del settore. Fra le start up più convincenti in materia di AI, ci sono la tedesca DeepL (quella che produce il traduttore che sfida Google Translate) e le francesi Hugging Face e Mistral AI. Si tratta di società molto apprezzate, non solo in Europa, e ben finanziate. Da qui potrebbe arrivare il primo ChatGPT europeo (nel 2024). L’Europa, insomma, rincorre. Ma soprattutto non sembra unita. Lo scatto di reni più deciso pare arrivare dalla Francia, dove una decina di giorni fa è stato inaugurato un nuovo laboratorio sull’AI con investimenti privati per 300 milioni di euro. Briciole, rispetto ai numeri americani e cinesi. Ma se il piano è quello di un’AI aperta e senza scopo di lucro, quella francese potrebbe rivelarsi una mossa vincente.