24 Novembre 2024

Il leader iraniano in viaggio fra Kenya, Uganda e Zimbabwe. L’obiettivo è aumentare l’interscambio con la regione per compensare le sanzioni Usa. Con un occhio alle materie prime dell’Africa

La prima tappa è stata Nairobi, la capitale del Kenya, in un incontro officiato dai vertici nazionali. Ora toccherà a Uganda e Zimbabwe, anche se i dettagli trasparsi sono pochissimi. Il presidente iraniano Ebrahim Raisi è impegnato in un tour nell’Africa subsahariana, la prima visita nel Continente di un leader di Teheran nell’arco di un decennio.
Raisi ha dichiarato che gli Stati africani rappresentano un «continente di opportunità» per l’economia iraniana, nel tentativo di irrobustire legami e volumi di interscambio fermi su valori quasi impercettibili. La tripla visita rientra in una strategia di «diplomazia economica» per diversificare partner commerciali e politici, compensando gli effetti delle sanzioni Usa e le tensioni con i governi occidentali sul suo programma nucleare. Prima di approdare in Africa, Raisi ha visitato con lo stesso approccio altri paesi «non allineati» in America centrale e meridionale come Venezuela, Cuba e Nicaragua, oltre ad aver ricucito i rapporti con l’Arabia Saudita.

Le cinque intese con Nairobi e gli «altri» obiettivi di Raisi
Il primo esito della missione africana di Raisi si è espresso nella firma di un pacchetto di cinque memorandum of understanding con il governo kenyota e il neopresidente William Ruto, dedicati a settori come Ict, pesca, allevamenti e promozione degli investimenti sull’asse fra Nairobi e Teheran. Il progetto di debutto dovrebbe essere l’apertura di una fabbrica di auto iraniane in Kenya, cavalcando un settore che sta cercando di espandersi nella prima economia dell’Africa orientale. Secondo dati forniti dalle associazioni dei costruttori, Nairobi conta su una capacità produttiva potenziale di 96mila vetture commerciali l’anno ma riesce ad assemblarne appena 12mila. Un gap colmato dall’import di auto – vecchie – dall’estero, prolungando la dipendenza da partner esterni e aggravando l’impatto ambientale del settore.
In nessuno dei cinque documenti siglati si menziona, per ora, il do ut des dichiarato dallo stesso Raisi nella sua visita a Nairobi: l’interesse di Teheran per le risorse naturali che abbondano nella regione subsahariana e la contro-offerta della «esperienza» dell’Iran nell’industria petrolchimica, un’accoppiata che lascia intendere l’interesse per una collaborazione sempre più fitta anche sul versante energetico.
Per ora l’ambizione dichiarata di Raisi è aumentare di «10 volte» i volumi dell’interscambio fra Teheran e i Paesi della regione subsahariana, cavalcando l’integrazione sempre maggiore delle economie locali sotto la spinta dell’accordo di libero scambio African continental free trade area. I valori registrati oggi fra Teheran e i governi africani sono schiacciati su quote minime, con le autorità iraniane che dichiarano un interscambio di 1,27 miliardi di dollari Usa nell’anno fiscale 2022-2023, assorbito per quasi un quarto del suo valore economico dal solo Sudafrica (circa 322 milioni di dollari).

La crisi del Kenya e i rapporti ambivalenti con gli Usa
La visita di Raisi arriva in una congiuntura tutt’altro che serena per Ruto, alle prese con un’ondata di proteste nate dalla crisi economica e sobillate da Raila Odinga, l’avversario sconfitto alle urne nel voto dell’agosto 2022. Ruto ha definito l’Iran un partner «strategico» per Nairobi, accogliendo una collaborazione che potrebbe surriscaldare i rapporti – fin qui – positivi con gli Usa e l’amministrazione Biden
Non è l’unico leader a trovarsi in bilico fra la collaborazione con Washington e il dialogo con l’Iran, un interlocutore che viene ritenuto incompatibile con l’amicizia manifestata alla Casa Bianca. Il prossimo leader ad accogliere Raisi dovrebbe essere il presidente ugandese Yoweri Museveni, artefice di un legame gli Usa che si era rinsaldato per decenni prima di vacillare, ora, sotto la presidenza Biden. Gli Usa hanno sempre visto in Kampala un alleato affidabile nel contrasto al terrorismo, ma la sintonia si è appannata con l’ultimo affondo dell’amministrazione americana: la condanna della «legge anti-gay» varata dal governo ugandese, una stretta costata a Kampala la minaccia di sanzioni ad hoc della Casa Bianca.
Più facili i rapporti intrecciati con lo Zimbabwe, reduce da una tradizione di non-allineamento e aperto oggi alla collaborazione con Teheran. Solo a inizio anno degli inviati del Paese hanno visitato il Paese per un faccia a faccia con il ministro degli Esteri Hossein Amirabdolalhain, intenzionato a esibire le credenziali di un’intesa più solida fra le parti. Un tassello nella «diplomazia economica» curata, e dichiarata, dallo stesso Raisi.

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