21 Novembre 2024
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Rapporto 2023: il fenomeno è più accentuato nel Mezzogiorno

Denatalità, glaciazione demografica. Il tema al centro del dibattito (ma non delle politiche) riguarda soprattutto i giovani che sono i principali protagonisti del calo demografico in atto nella società italiana. Nel 2023 – scrive il Rapporto Istat 2023 – in Italia si contano poco più di 10,33 milioni in età 18-34 anni, con una perdita di oltre 3 milioni dal 2002 (-22,9%). Rispetto al picco del 1994, il calo è di circa 5 milioni (-32,3%).
La riduzione dei giovani dal 2002 al 2023 è stata del 28,6 per cento nel Mezzogiorno, a causa della denatalità e della ripresa dei flussi migratori, contro il 19,3 nel Centro-Nord, dove il fenomeno è attenuato da saldi migratori positivi e dalla maggiore fecondità dei genitori stranieri.
Le  previsioni demografiche indicano una tendenza allo spopolamento e all’invecchiamento: entro il 1° gennaio 2042, la popolazione residente in Italia potrebbe ridursi di circa 3 milioni di unità e in 50 anni (1° gennaio 2072) di oltre 8,6 milioni.

Si diventa “adulti” sempre più tardi
Per l’operare di fenomeni similari, la riduzione è stata più ampia nelle aree interne (-25,7 per cento) rispetto ai centri (-19,9), e nelle zone rurali (-26,9) rispetto alle città (-19,2); nel Mezzogiorno, il calo è più ampio in ciascuna di queste tipologie. Gli attuali giovani hanno transizioni sempre più protratte verso l’età adulta. Nel 2022, il 67,4 per cento dei 18-34enni vive in famiglia (59,7 per cento nel 2002), con valori intorno al 75 per cento in Campania e Puglia. Si posticipano anche la nuzialità e la procreazione. Nel 2022, l’età media al (primo) matrimonio è di 36,5 anni per lo sposo (31,7 nel 2002) e 33,6 per la sposa (28,9 nel 2002); quella della prima procreazione per le donne è salita a 31,6 anni, contro 29,7 nel 2002.

L’invecchiamento concentrato nelle città metropolitane
Le città metropolitane sono un caso di studio importante sull’invecchiamento. In Italia il 24 per cento della popolazione ha oltre 65 anni e oltre un terzo di questa (circa 5 milioni) vive nelle 14 città metropolitane. L’indice di vecchiaia è più basso della media nazionale (182,9; 193,1 in Italia), ma nei contesti metropolitani del Nord è maggiore (198,5) rispetto al Sud (175,8). Quasi un terzo di questi anziani vivono da soli, contro meno del 30 per cento a livello nazionale. D’altra parte, sono anche più istruiti rispetto alla media nazionale: oltre un terzo è in possesso almeno del diploma (circa un quarto in Italia) e l’11,1 per cento ha conseguito una laurea o altro titolo terziario (oltre l’8 per cento di media nazionale).

La povertà educativa (specie nel Mezzogiorno)
Un tema forte è quello della povertà educativa: sono stati calcolati due indici sintetici a fini esplorativi, uno relativo alla carenza di risorse (della famiglia, della scuola, e dei luoghi di vita), l’altro sulle difficoltà negli esiti scolastici, a livello di regione e per grado di urbanizzazione del Comune di residenza (città, sobborgo urbano e zona rurale). Ebbene, una situazione di carenza di risorse e di difficoltà negli esiti più accentuata della media riguarda tutte le tipologie di comune in Sicilia, Puglia e Campania, e molte zone rurali del Centro-Nord (Lazio, Liguria, Emilia-Romagna).
Carenza di risorse ma esiti scolastici migliori della media si osservano in molte aree rurali, le città del Lazio, della Calabria e della Puglia, e nei sobborghi della Lombardia. Una situazione meno compromessa rispetto alla media nazionale sia per risorse sia per gli esiti riguarda la maggior parte delle città del Centro-Nord (fanno eccezione quelle del Piemonte, Liguria e Toscana per gli esiti, e le città del Lazio per le risorse) e, nel Mezzogiorno, le città di Abruzzo, Basilicata e Molise.

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