Sempre meno giovani e sempre meno laureati. Tredici regioni italiane su 21 non sono solo in declino demografico perché molti vanno via, ma fanno fatica a formare i pochi giovani che rimangono e portarli fino alla laurea universitaria. E non è solo il Sud a soffrire.
Nella mappa di tutte le regioni europee elaborata dalla Dg Politiche regionali della Commissione UE sulla base di quattro indicatori (immigrazione netta di giovani, variazione del numero di laureati, a numero di laureati in età lavorativa e variazione della popolazione in età lavorativa) spiccano Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta al Nord Ovest, Friuli Venezia Giulia a Nord Est, ma anche le Marche, l’Umbria e l’Abruzzo al Centro.
A queste si aggiungono sei delle sette regioni che per i parametri europei rientrano tra quelle “meno sviluppate”: Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata e Molise. Fa eccezione la Campania che soffre meno delle altre la fuga dei giovani e ha percentuali di laureati più alte. Ma resta comunque in bilico, come altre 35 regioni del resto dell’Unione.
Chi tiene molto all’orgoglio nazionale farebbe meglio ad evitare di allargare lo sguardo alle regioni Ue. Nella stessa situazione delle tredici regioni italiane si trovano infatti Romania e Bulgaria quasi per intero. Buona parte dell’Ungheria e la Croazia. In tutto 46 regioni bloccate in quella che a Bruxelles hanno definito la “trappola dello sviluppo dei talenti”.
Le regioni europee nella “trappola dei talenti”
Territori alle prese con un’accelerazione del calo della popolazione in età lavorativa, accompagnato da un numero di laureati che tra il 2015 e il 2020 è rimasto stagnante, a livelli molto bassi. In Francia sono in questa situazione solo tre regioni (Champagne-Ardenne, Lorena e Alta Normandia), in Germania quattro lander dell’Est, una sola in Portogallo e nessuna in Spagna.
Nel confronto tra Paesi, l’Italia si colloca appena sopra la Romania per percentuale di laureati tra 25 e 64 anni: è inferiore al 20%, contro il 18,78% della Romania, il 50,8% dell’Irlanda o il 40% di Francia e Spagna e il 30% di Portogallo e Germania. Fuori dalla Ue, i termini di paragone ai due estremi sono il Canada (62%) e il Messico (18%).
In Italia l’ultima in questa particolare classifica è la Sicilia dove tra il 2015 e il 2019 il saldo migratorio per la popolazione tra i 15 e i 39 anni è stato negativo in media ogni anno di 11,5 ogni mille residenti e nel 2020 solo il 14,9% delle persone tra 25 e 64 anni era laureata, con un incremento medio nei cinque anni precedenti di appena l’1,7%. Fa appena meglio la Calabria, dove però la percentuale di laureati è rimasta sostanzialmente ferma (+0,3). Per entrambe il calo della popolazione attiva è stato intorno al 10%.
La Lombardia è di gran lunga la regione italiana che attrae di più i giovani: il saldo migratorio segna +10,8 ogni mille abitanti. Ma le notizie positive si fermano qui: la Lombardia perde popolazione attiva e ha una percentuale di laureati che non va al di là del 21,7%, meno della peggiore regione tedesca (Sachsen-Ahnalt).
Nel confronto con la Germania pesa sicuramente l’ampia diffusione delle scuole professionalizzanti post diploma, analoghi agli Its italiani che però sono molto meno diffusi. Entrambi rilasciano un titolo di studio di livello terziario. Meglio della Lombardia fa il Lazio dove ci sono più laureati (27%) e il loro numero cresce al ritmo di tre punti percentuali all’anno, nonostante l’evidente calo demografico. Tra le regioni “in trappola” colpisce il Piemonte, un tempo apice del triangolo industriale e oggi in lento declino.
Le previsioni dicono che l’Italia è tra i paesi in cui continuerà il declino demografico, insieme a tutti i paesi dell’Est e alla Grecia. La popolazione aumenterà invece in Danimarca, Irlanda, Cipro, Lussemburgo, Malta e Svezia. Il numero degli abitanti in Europa crescerà, di poco, fino al 2029. Poi il declino riguarderà tutta l’Unione. Il fenomeno, dunque, è di lungo periodo e di ampia portata. Colpisce soprattutto le aree rurali. Le immigrazioni non hanno compensato finora il calo delle nascite e l’aumento della mortalità.
Le implicazioni economiche sono rilevanti e gli effetti sulla sostenibilità della spesa per pensioni, sanità e assistenza sono solo uno degli aspetti in gioco. “La mancata sostituzione di lavoratori di mezza età con elevata produttività del lavoro può creare squilibri nei passaggi intergenerazionali nell’economia” scrive la Commissione. Meno giovani nel mondo del lavoro significa meno capacità di innovazione e minore potenziale di crescita per le imprese e per l’economia.
Le misure della commissione per trattenere i talenti
Alla luce di questa situazione generale, in cui l’Italia è un punto più debole di molti altri, la Dg Politiche regionali della Commissione europea ha cercato di correre ai ripari e ha predisposto un piano per “potenziare il talento”, Talent Booster Mechanism. E’ articolato in diversi intervent
- progetto pilota da avviare quest’anno per aiutare le regioni a formare, attrarre e trattenere i talenti;
- supporto per aiutare le regioni ad affrontare la transizione demografica;
- coinvolgimento del Technical Support Instrument per affrontare calo della popolazione in età lavorativa e carenza di competenze;
- assistenza diretta dei programmi della politica di coesione per stimolare l’innovazione e le opportunità per le figure altamente qualificate;
- un nuovo bando di Urban Initiative per azioni innovative guidate dalle città per coltivare i talenti.
Il piano prevede anche interventi per favorire la conoscenza e la diffusione delle esperienze realizzate nelle diverse città, anche con dell’analisi dei dati, in modo da supportare con l’evidenza dei fatti le politiche regionali e migratorie.