ECONOMIA
Fonte: La Stampa
Il rapporto dell’Eurispes: «Nel Meridione la situazione è critica. Difficile prevedere una ripresa». Tra il 2009 e il 2012 chiuse oltre 11 mila imprese
Il Sud scende «sempre più in basso». La situazione dell’economia meridionale risulta essere «particolarmente critica; quasi tutti gli indicatori sono decisamente inferiori rispetto a quelli delle altre aree del paese e alle medie nazionali». L’Eurispes, nel suo rapporto annuale, osservando i dati economici del paese, sui quali si basano le proiezioni, dichiara che «è possibile lasciarsi cullare da un moderato ottimismo», che però va abbandonato quando si restringe l’analisi al solo Mezzogiorno. «Sembra difficile poter preveder una ripresa nel breve periodo», afferma l’Istituto di ricerca. I sei anni di «carestia», provocata dalla crisi (2007-2012), «sono stati una vera piaga per un tessuto economico già in affanno».
Quasi tutti gli indicatori che riguardano il mezzogiorno, osserva l’Istituto, risultano essere inferiori rispetto alle altre aree del paese: la differenza tra la percentuale di aziende con fatturato in aumento e in diminuzione è negativa del 43% circa (contro il 25% medio), mentre il fatturato si riduce mediamente del 13,8% (contro il 7% medio). E anche i dati sugli ordini portano a conseguenze simili; nel mezzogiorno infatti si osserva il peggior saldo e la peggiore variazione media del portafoglio ordini, con valori molto distanti dalle altre aree geografiche e dalla media nazionale. I dati, osserva l’Eurispes, indicano che le imprese meridionali presentano «un forte gap» rispetto alle imprese del centro-nord anche rispetto alla capacità di espansione sui mercati esteri. «È unanime la valutazione secondo cui il Mezzogiorno abbia subito più del centro-nord le conseguenze della crisi», osserva l’Istituto di ricerca. La congiuntura negativa «sta incrementando il divario tra nord e sud, già grave in Italia». A pesare è stato anche l’impoverimento delle casse dello Stato, che ha pesato più sul Sud che nel resto del paese. Il mezzogiorno, avverte l’Eurispes, «è ormai vicino al limite di sopportazione», serve un cambiamento.
Secondo i dati dell’Istituto di ricerca il pil italiano, a parità di potere di acquisto, nel 2012 è sceso per la prima volta al di sotto della media europea: fatto 100 il valore dell’Unione europea a 27, l’indice del pil italiano è pari a 98,4 e per il Mezzogiorno a 67,9 mentre la congiuntura 2012-2013 sembra aver azzerato i sintomi della lieve ripresa percepita nei 18 mesi precedenti. Tra il 2009 e il 2012, ricorda l’Eurispes, sono state 11.554 le imprese meridionali che hanno dovuto portare i libri in tribunale, di cui 3.689 solo in Campania, a fronte di 33.801 imprese fallite nel centro-nord. Le analisi economiche sembrano ricondurre la situazione all’andamento del debito pubblico che, ricorda l’Eurispes, «influisce su innumerevoli indicatori economici, determinando una sensibile contrazione dell’economia del paese». A questo deve aggiungersi il peso della manovre di consolidamento dei conti pubblici attuate dal governo, il peggioramento delle condizioni di finanziamento per imprese e famiglie, il pessimismo di queste ultime circa le prospettive economiche future.
La politica di contenimento della spesa pubblica imposta dall’Unione europea, afferma l’Eurispes, «ha impattato sulla domanda aggregata, deprimendo un clima di fiducia generale e, di fatto, la domanda interna». Infatti si è avuta una significativa contrazione sia in relazione alla spesa delle famiglie (-4,8%) che, in termini procapite, ha riportato il livello dei consumi ai valori del 1998, sia in relazione agli investimenti delle imprese (-8%), che sommata al quella degli anni precedenti, ha raggiunto circa il 20% rispetto ai valori del 2008. «In uno scenario congiunturale particolarmente negativo le imprese hanno dovuto affrontare diverse difficoltà, senza il supporto delle banche», osserva l’Istituto di ricerca. Spicca la situazione «emergenziale» del settore delle costruzioni, dove la crisi economica dura ormai da 5 anni; la sua ripresa sembra strettamente legata alle politiche di erogazione del credito e dalle politiche fiscali sulla casa. «Il Mezzogiorno è l’area più colpita dalla crisi economica, sia in relazione al fatturato sia per quanto riguarda gli ordini ricevuti dalle imprese». L’Italia, sottolinea l’Eurispes, sembra essere «spaccata in due»: da un lato il Mezzogiorno, con «performance decisamente al di sotto delle medie nazionali» e, dall’altro, il Centro-Nord dove le diverse macro-aree presentano una «maggiore capacità di fronteggiare le difficoltà economiche».
Il settore delle costruzioni e il Mezzogiorno, ossia le due realtà con i peggiori risultati di mercato, «evidenziano le maggiori criticità, anche per quanto riguarda gli assetti finanziari», dice l’Eurispes. A ciò si aggiunge «un forte inasprimento nelle condizioni di finanziamento bancario, avvertito in maniera diffusa da tutte le imprese, a prescindere dal settore produttivo e dall’area geografica». Le imprese hanno reagito alla crisi economica apportando «significative riduzioni al proprio organico». In un contesto come quello illustrato dall’Eurispes «non è stato sorprendente rilevare la bassa propensione a effettuare investimenti produttivi e lo scarso ammontare di risorse economiche destinate a tale scopo». Anche per quanto riguarda l’attività innovativa, i dati nel complesso indicano una «bassa propensione a innovare da parte delle imprese». Il confronto tra le diverse aree geografiche mostra che la propensione a innovare è maggiore al Nord, scende nel Centro e crolla al Sud. Il ritardo del Mezzogiorno appare evidente anche osservando la spesa delle imprese in ricerca e sviluppo: la più bassa in tutte le macro-aree. In un contesto come quello descritto la possibilità di accedere a linee di credito a condizioni favorevoli potrebbe essere «l’unica via per sopravvivere alla crisi», osserva l’Eurispes. È quindi «significativo» rilevare che le erogazioni di prestiti al sud hanno registrato una contrazione del 2,1%. Inoltre il tasso d’interesse medio praticato al sud si è attestato al 7,9% contro il 6,2% del centro-nord. Il differenziale dell’1,7% potrebbe essere «indice dalla maggiore rischiosità delle imprese meridionali».