Fonte: Sole 24 Ore
di Fabio Tamburini
Da una parte i progetti e le riforme per ottenere gli oltre 200 miliardi di fondi che l’Europa ci ha reso disponibili. Dall’altra le scelte da fare in attesa del loro arrivo, che non è dietro l’angolo. Il Sole 24Ore lancia un dibattito per non sprecare un’occasione storica
Alle elezioni regionali e al Referendum, Il Sole 24Ore ha dedicato grande attenzione. Ma l’emergenza è un’altra: la crisi economica e le scelte del governo per superarla.
Anzi, c’è una doppia emergenza. Da una parte i progetti e le riforme per ottenere gli oltre 200 miliardi di fondi che l’Europa ci ha reso disponibili. Dall’altra le scelte da fare in attesa del loro arrivo, che non è dietro l’angolo.
Per il momento non si può ancora parlare del mancato rispetto della tabella di marcia, che prevede la presentazione dei piani nei prossimi mesi. Ci sono però segnali che giustificano grande preoccupazione.
Per questo, Il Sole 24 Ore ha scelto di dare contributi concreti pubblicando interventi, interviste, articoli che servano a non dimenticare l’obiettivo da raggiungere: non sprecare una occasione storica e, con ogni probabilità, irripetibile.
Nei giorni scorsi ho scritto che il Paese dei mille campanili, come è chiamata l’Italia, rischia di essere ribattezzato come il Paese dei mille progetti. All’attenzione del governo ne risultano quasi 600. La necessità è che vengano stabilite priorità e linee d’intervento. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, e il governo lo hanno fatto indicando le direttrici da seguire. Ora è il momento di articolarle con più efficacia e di passare dalle parole ai fatti.
La Francia ha presentato per prima il piano di riferimento, con indicazioni precise sulla destinazione dei fondi. Gli interventi all’esame del governo tedesco sono riassunti in una quindicina di pagine.
Paesi come il Portogallo hanno inviato a Bruxelles task force per confrontarsi su contenuti e modalità da seguire. Il rischio è che l’Italia dia per scontato quello che non è: i fondi europei ci sono e risultano davvero consistenti, ma è tutto da verificare se riusciremo davvero a ottenerli.
Occorrono progetti adeguati e riforme vere, che passeranno al vaglio dell’Europa. E non saranno verifiche di poco conto.In proposito va ricordato un proverbio che fotografa molto bene la situazione: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”, cioè occorre fare attenzione perché gli oltre 200 miliardi non sono affatto una certezza, dovremo guadagnarceli.
E sarebbe bene tenerne presente un altro: “Oltre il danno la beffa”, in quanto i fondi europei sono finanziati dagli Stati europei, compreso l’Italia.
Quindi noi finiremmo comunque per pagare la nostra quota, che andrebbe a finanziare i Paesi virtuosi, restando però a bocca asciutta. I precedenti sono tutt’altro che rassicuranti, come risulta evidente da pagine vergognose scritte un po’ da tutti i governi che si sono alternati alla guida del Paese: l’incapacità di spendere i fondi europei resi finora disponibili.
Non siamo soltanto noi in queste condizioni, ma è una magra consolazione.
Eppure non ci vuole particolare sagacia per stabilire almeno cinque grandi priorità: il rilancio della produttività in caduta da anni a causa di lacci e lacciuoli che soffocano il fare impresa, i progetti per lo sviluppo sostenibile, le infrastrutture e l’apertura dei cantieri per i grandi lavori, la digitalizzazione con gli investimenti necessari per la rete unica in fibra, la questione demografica con il rilancio di politiche a favore della natalità e dell’istruzione.
L’altro aspetto spinoso riguarda la tempistica. I fondi europei non arriveranno subito. Cosa accadrà nel frattempo? Come verrà superato il morso della crisi economica che sta seguendo l’emergenza sanitaria? La tradizionale manovra di fine anno risulterà adeguata alle difficoltà che stanno affrontando le imprese?
La certezza è che il Paese ha l’opportunità di mettere in cantiere investimenti fuori dall’ordinaria amministrazione, utilizzabili per un vero salto di qualità. Ma è anche a un bivio tra la strada che porta allo sviluppo economico e quella che porta al disastro, reso ancora più drammatico dalla montagna di debito pubblico che ha raggiunto il 160 per cento del prodotto interno lordo. Non sono ammesse distrazioni o ritardi.