Fonte: La Stampa
di Daniele Marini
Manca un’identità comune di cui essere orgogliosi, secondo l’indagine LaST Nonostante talenti e creatività indiscussi, la prima caratteristica è la disunità
Gli italiani, un caleidoscopio di stili e modi di vivere. Difficili da com-prendere. Nel senso di «tenere assieme» come un tutt’uno omogeneo. Ma anche da interpretare mediante un unico filo rosso culturale. L’Italia è un paese lungo e diversificato, le cui differenze costituiscono esattamente un elemento di ricchezza. Lo specchio di tale molteplicità si materializza in diverse forme. Nei dialetti parlati, una trentina, più d’uno per regione. Per non dire del cibo, nostra vetrina nel mondo. Non c’è realtà regionale, vallata o territorio che non abbia una pietanza caratteristica. La varietà è il nostro tratto distintivo che ha pochi eguali altrove. In fondo, la nostra storia affonda le radici nei campanili. Non c’è territorio regionale che, ancora oggi, non veda rivalità fra le province che la compongono. Non c’è organizzazione associativa o politica che, quando si tratta di scegliere un futuro leader, non debba fare i conti (anche) con la provenienza territoriale di chi l’ha preceduto. Così il «particolare» è il nostro «universo» e fatichiamo a far combaciare fra loro i molti «particolari», in modo da costruire un puzzle unitario più complesso.
Le difficoltà
La storia dell’Italia quale Paese unito ha poco più di 150 anni, eppure ancora oggi si fatica ad affermare l’idea di un’identità in cui riconoscersi. Non sono mancate nei decenni scorsi le spinte secessionistiche, che in tempi più recenti hanno lasciato il passo a istanze autonomiste, in particolare di alcune regioni del Nord. La crisi e le difficoltà economiche non ancora assorbite; un sistema politico e istituzionale instabile che ha di fronte a sé un passaggio delicato come quello della riforma costituzionale; gli scandali e il malcostume che di continuo segnalano l’esistenza di una coscienza civica assai labile: sono tutti fattori che non aiutano a costruire un’identità nazionale in cui specchiarsi.
Tant’è che gli italiani – nell’ultima rilevazione di Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per La Stampa – quale primo carattere che li definisce evidenziano l’essere «disuniti», dove «ognuno va per sé» (23,7%). Potrebbe essere diversamente in un paese dove ogni categoria professionale vanta – per sé, ovviamente – diritti e privilegi derivanti da peculiarità specifiche senza il mantenimento dei quali l’intero paese cadrebbe in un declino irreversibile? Così tassisti, farmacisti, notai, avvocati, commercialisti, giornalisti, medici, camionisti, piloti non appena si cerchi anche solo di mettere mano alle regole o di aprire al mercato il loro perimetro professionale scattano in difesa della categoria. Di qui, la propensione a pensare solo «agli interessi particolari» (13,9%) e l’essere protesi a «cercare di aggirare le leggi» (13,6%).
L’ individualismo
In definitiva, l’auto-j’accuse si racchiude nel sottolineare che viviamo ispirati a «l’arte dell’arrangiarsi» (18,1%). In queste quattro definizioni si racchiudono i caratteri dominanti che gli stessi italiani si attribuiscono, con qualche piccola variante territoriale. Per esempio, chi risiede nelle aree di piccola impresa (Nord-Est e Centro) più di altri evidenzia il tratto dell’individualità e del pensare solo ai propri interessi. L’arte dell’arrangiarsi è, invece, un aspetto più diffuso nell’opinione di chi abita nel Centro-Sud.
Certo, non manca il riconoscimento di avere anche tratti positivi, ma questi sono evidenziati in seconda battuta. «Creatività e inventiva» (10,3%), essere capaci di sviluppare «eccellenze professionali» (9,7%) o di compiere «azioni straordinarie» (9,7%) costituiscono aspetti caratterizzanti dei concittadini. Ma sono collocate più sullo sfondo, su un piano successivo: come seconda scelta. Al punto che praticamente nessuno ritiene che gli italiani si sentano orgogliosi di esserlo (1,8%): ci guardiamo con scherno, non ci riconosciamo. E, anche in questo caso, con qualche sfumatura territoriale. L’inventiva è appannaggio di chi vive in contesti di piccola impresa (Nord-Est e Centro); le eccellenze professionali si riconoscono soprattutto al Nord; la straordinarietà delle azioni sono di quanti vivono nel Mezzogiorno.
I talenti
Sommando le risposte offerte dagli interpellati, emergono due profili generali dei caratteri in cui si riflettono gli italiani. Di gran lunga prevalente è quello che definisce i concittadini mossi da logiche ispirate al «fai-da-te» (69,3%), dove la dimensione particolaristica e individualista ha il sopravvento sulle altre. Sono le generazioni più giovani e chi risiede nel Centro-Nord Est a risaltare maggiormente quest’opinione. Per converso, un terzo degli intervistati (30,7%) pone l’accento maggiormente sulle caratteristiche positive e vede i conterranei soprattutto come «talentuosi», in particolare fra i più adulti e chi vive nel Nord-Ovest e nel Mezzogiorno.
Gli italiani hanno una molteplicità di caratteri, cangianti come le figure di un caleidoscopio. Nel complesso prevalgono i colori più scuri, ma non mancano le tinte più luminose. Soprattutto manca un’identità cui riferirsi, in grado di far risaltare le specificità e le diversità che compongono l’Italia, all’interno però di una progettualità comune. Che renda il «particolare» il pezzo di un progetto «universale»: per essere finalmente orgogliosi di essere italiani.