24 Novembre 2024

EDITORIALE

Fonte: La Stampa

di Massimo Franco

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La nuova legge elettorale è un successo controverso di Renzi. Approvarla a colpi di fiducia ne ha minato la legittimità. Ma il nuovo testo non è peggiore del Porcellum

È stata approvata la nuova legge elettorale, e questo è un merito che Matteo Renzi può ascriversi. La sua vittoria prescinde dal contenuto della riforma, che entrerà in vigore tra non prima di un anno e produrrà effetti ancora tutti da verificare. Anche dal punto di vista del metodo, l’Italicum ufficializza un successo controverso. Approvarlo senza nemmeno l’appoggio dell’intera maggioranza di governo, e con gli scanni dell’opposizione deserti, offre agli avversari un’arma per contestarne la legittimità; e crea un precedente nella storia parlamentare, del quale la sinistra si è assunta la responsabilità. Si tratta di un vero spartiacque, destinato a segnare il futuro della legislatura. 

Verosimilmente non sarà ritenuto incostituzionale. E l’Italicum non è certo peggiore del Porcellum di cui prende il posto. Ma porta con sé il trauma della frattura dentro il Pd di cui Renzi è segretario, e forse ne produrrà altri. E pone il problema di una ricostruzione degli equilibri e degli spazi dell’opposizione, oggi ridotta ad un cumulo di macerie e di piccoli protagonismi che esaltano l’assenza di leadership: in primo luogo nel centrodestra che del sistema è stato a lungo il baricentro. L’idea che alle prossime elezioni si vada a un ballottaggio tra Pd renziano e Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo non è rassicurante. I l tramonto del berlusconismo, in particolare, lascia un vuoto che né la Lega estremista di Matteo Salvini, né la sinistra in versione «centrista» sono in grado di riempire del tutto. Sembra che esista solo il Pd, ma non può né deve durare: altrimenti vincerà non il bipolarismo bensì l’astensionismo. Dunque, per paradosso, l’Italicum dovrebbe accelerare la ricomposizione di un’area che sembrava rassegnata ai tempi lunghi e a convulsioni infinite. È comprensibile il trionfalismo col quale il premier elenca le doti, vere o presunte, della sua creatura: è uno strumento vincente. Eppure, bisogna prepararsi ad altri strappi di qui al passaggio della legge costituzionale che svuota il Senato, dopo l’estate: il secondo spartiacque. 

In un futuro non lontano, non si può escludere nemmeno che si arrivi ad una disdetta dell’Italicum, cucito su misura per il vincitore di turno. Evoca infatti il passaggio troppo brusco da una fase che favoriva in modo inaccettabile le minoranze, ad una altrettanto discutibile di primato del governo. Renzi, tuttavia, ha l’aria di chi sente di avere ragione quasi «a prescindere». Le sue sfide, vissute dagli oppositori come provocazioni, stanno avendo successo perché sono figlie dell’immobilismo precedente. Vero o falso non importa: come tale è stato percepito. Può ringraziare il proprio partito, ridotto ad una falange spaventata e ubbidiente, con una minoranza interna esacerbata fin quasi al suicidio politico. 
Onore a Renzi, dunque, per il coraggio e l’astuzia dimostrati in questi mesi. Ha capito che per una fetta di opinione pubblica non conta che cosa e come si cambia, ma il cambiamento in sé. E il voto europeo del 2014, con oltre il 40 per cento dei voti a favore del partito del presidente del Consiglio, è un surrogato abbagliante e potente di investitura popolare. Permette a Renzi di considerare l’Italicum come un prodotto anche di quei consensi, di un mandato indiretto ad andare avanti con le riforme: ad ogni costo. Passa in secondo piano l’accusa avversaria di prepararsi in realtà una vera investitura alle condizioni più vantaggiose. 
Sarebbe ingiusto, tuttavia, attribuire a Renzi non solo meriti ma anche demeriti che non ha. Quanto accade è la conseguenza inevitabile degli errori altrui; e di una crisi del sistema politico, della quale il premier si sta rivelando un abile utilizzatore. Scaricargli addosso colpe e cattive intenzioni non basta a nascondere la pochezza dei suoi critici. I rischi di una dittatura allo stato nascente, dunque, vanno presi per quello che sono: frutti di una polemica velenosa, e di argomentazioni tardive. Il pericolo è un altro: che la narrativa sulle grandi riforme destinate a trainare la ripresa si riveli retorica; e che manchi un’opposizione degna di questo nome, in grado di contrastarla e di offrire un’alternativa. L’assioma renziano è che l’Italicum sarà uno dei volani dell’economia. C’è da sperare che abbia ragione: sebbene i dati, dispettosi, finora lo assecondino con un ritardo preoccupante. 

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