16 Settembre 2024

POLITICA

Fonte: La Stampa

Via libera dalla Commissione Lavoro della Camera. Resta l’addio all’articolo 18. Per motivi economici previsto solo un indennizzo economico. Ok finale il 26 novembre

Alla fine, dopo un lungo tira e molla nella maggioranza di governo, cambia l’articolo 18. Si dicono soddisfatti Pd e Ncd, mentre il premier Matteo Renzi insiste sul fatto che, messo da parte il «dibattito ideologico», il Jobs Act «non toglie diritti, ma toglie solo alibi, ai sindacati, alle imprese, ai politici». Con le novità della delega, si fissa il solo indennizzo economico «certo e crescente» con l’anzianità di servizio per i licenziamenti economici, mentre il reintegro sul posto di lavoro resta per i licenziamenti discriminatori (mai stati in discussione) e viene limitato a «specifiche fattispecie» di licenziamento disciplinare ingiustificato, che verranno dettagliate nei decreti legislativi che arriveranno dopo l’ok definitivo al ddl delega sul lavoro. Decreti che saranno operativi, come nelle intenzioni del governo, già a inizio gennaio.

L’emendamento presentato dal governo sull’articolo 18 (una riformulazione dell’emendamento a prima firma della deputata del Pd Marialuisa Gnecchi) è stato approvato dalla commissione Lavoro della Camera, anche se le opposizioni – M5s, Sel, Fi, Lega e Fdi – hanno votato contro e subito dopo abbandonato i lavori, in segno di protesta, contro «l’autodelega Renzi-Sacconi», come sostenuto da Sel, contro «il teatrino» messo in scena, come affermato invece dal Movimento 5 stelle. Nelle file del Pd si è invece astenuta dal voto in commissione la deputata Monica Gregori, esponente della minoranza.

«Sono molto soddisfatto della riformulazione» sull’articolo 18, dice il presidente della Commissione Lavoro della Camera e relatore del Jobs act, Cesare Damiano (Pd), che sottolinea come «confermi i contenuti dell’accordo che abbiamo sottoscritto con il governo». Damiano in particolare evidenzia che si «ricalca puntualmente il testo della Direzione del Pd». E che si era «partiti dall’idea di mantenere la tutela per i soli licenziamenti discriminatori, come sostenevano taluni esponenti del governo, e siamo arrivati ad includere anche i licenziamenti disciplinari. Non era scontato». A esprimere la soddisfazione anche di Ncd, il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, che insiste sui tempi: «Ora facciamo presto».

Ad accelerare sui tempi è lo stesso governo che ha presentato un emendamento aggiuntivo al Jobs act, per cui la delega ed i successivi decreti legislativi entreranno in vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, superando così la vacatio legis dei 15 giorni (questo emendamento sarà votato domani).

Per qualcuno, nella partita sul Jobs act ed in particolare sull’articolo 18, «ha vinto Sacconi». Ribatte il presidente del Pd, Matteo Orfini, sottolineando che l’ex ministro «non voleva cambiare il testo del Senato. È abbastanza evidente l’esito». Nel testo approvato in prima lettura a Palazzo Madama si faceva riferimento soltanto alla previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio.

Lo stesso Sacconi afferma che «hanno vinto i riformisti di destra e di sinistra». Esprime «soddisfazione» per il percorso che «ha portato ad una mediazione positiva, che chiarisce ulteriormente i contorni della delega nel capitolo delicato delle tutele», il sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova, in commissione per i lavori: «Avanti dunque con un’opera impegnativa e complessa di riforma, per dare al più presto risposte alle persone in carne ed ossa che fuori da qui aspettano un segnale concreto di cambiamento».

LE NOVITA’

I cambiamenti di maggiore impatto riguardano una più drastica sforbiciatura delle forme di lavoro atipico e precario, e l’aumento delle risorse per i loro ammortizzatori sociali. La prima misura è facilmente attuabile, per la seconda bisognerà trovare le risorse.

AMMORTIZZATORI SOCIALI 

Si parla di «una rete più estesa» di tutele, sia per i precari che per i disoccupati. In teoria, servirebbero risorse aggiuntive rispetto a quelle inserite nella Legge di Stabilità.

CONTRATTI ATIPICI 

La delega lascia intendere che l’unica fattispecie che salterà sarà quella del co.co.pro. Il Pd aveva invece ipotizzato una più ampia «riduzione delle forme contrattuali».

NESSUNA “REINTEGRA” 

Un lavoratore di un’azienda con più di 15 dipendenti licenziato prenderà un’indennità economica dal suo datore di lavoro, non oggetto di trattativa. Quanto, lo diranno i decreti delegati. La reintegra – obbligata per i licenziamenti «discriminatori» – tornerà solo per i licenziamenti disciplinari ingiustificati.

LICENZIAMENTI DISCRIMINATORI 

Nessun imprenditore dirà mai che licenzia per le idee politiche o l’orientamento sessuale del dipendente, cosa proibita da legge e Costituzione, ma lo definirà «economico». Non è chiaro se spetta al lavoratore o meno dimostrare il contrario. In ogni caso maternità, malattia, credo religioso e affini non possono essere causa di licenziamento.

LICENZIAMENTI DISCIPLINARI 

Qui ci sarà una novità, e sarà consentito – per alcune fattispecie, però, non per tutti i casi di licenziamento disciplinare – al giudice di stabilire che il lavoratore possa riavere il suo posto, qualora il licenziamento risulti ingiustificato o sproporzionato alla mancanza commessa. Quando un’azienda licenzia qualcuno con un’accusa disciplinare, oggi con le regole della riforma Fornero, non sempre è un giudice a dire se l’accusa era fondata o meno, e se la sanzione è proporzionata. In alcuni casi prevalgono infatti le regole stabilite nei contratti collettivi.

INDENNIZZO ECONOMICO 

Con il Jobs Act, intanto, la prima novità sarà che un giudice interverrà sempre, e di norma concederà solo un’indennità economica nei casi non giustificati. Con le novità concordate ieri nel Pd – ma che non sono gradite al Nuovo Centrodestra – per alcune tipologie di situazioni il giudice potrà prevedere anche il recupero del posto di lavoro.

ADDIO ALL’ARTICOLO 18 

Secondo il governo non c’è nessun ritorno mascherato dell’articolo 18, perché i licenziamenti disciplinari – peraltro relativamente pochi – saranno definiti in modo chiaro.

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