Fonte: Corriere della Sera
di Luigi Ferrarella
Sono ben 33.842 i detenuti ammessi nel 2019 a scontare segmenti delle proprie condanne in forme di pena alternative al carcere, ma se ne parla solo quando qualcuno di loro evade o commette reati
C’è «Johnny lo zingaro», l’ergastolano Giuseppe Mastini, di cui parlano tutti perché è evaso da un permesso a Sassari. E poi ci sono però gli altri 33.842 (non) «Johnny lo zingaro», ammessi nel 2019 a scontare segmenti delle proprie condanne in forme di pena alternative al carcere, e di cui si parla appunto solo quando qualcuno di loro evade o commette reati, e solo per invocare allora il ritorno a una esecuzione interamente carceraria della pena.
In realtà già il fatto che le misure alternative revocate siano state nel 2019 il 5,7% del totale smentisce il luogo comune di un «liberi tutti», ma ancor più interessanti sono le ragioni delle revoche. Di tutti gli affidamenti in prova ai servizi sociali nel 2019 è stato revocato il 4,3%, ma solo lo 0,3% perché la persona era fuggita e solo lo 0,6% perché era tornata a delinquere; idem per le detenzioni domiciliari (0,7% sia per evasione sia per altri reati, su un totale del 7,3%), e le semilibertà (0,9% per evasione e 0,7% per nuovi reati, a fronte di un totale dell’8,2%). Il grosso delle revoche è invece per l’«andamento negativo» della misura alternativa (rispettivamente 2,5%, 3,3% e 5%), segno che il sistema nel suo complesso sa distinguere i volonterosi dai furbi.
Inquadrare statisticamente i singoli fallimenti (come l’evasione di «Johnny lo zingaro») non significa certo barricarsi dietro i dati per ignorare che «quello» zero-virgola, quando si verifica, pesa come un macigno per chi ne sia aggredito nel fisico o nel patrimonio, e per la fiducia della collettività nella giustizia oltraggiata da beffarde evasioni e ricadute criminali. Ma anche i fans del «marcire in cella», oltre a confrontarsi con la maggiore recidiva criminale di chi sconta la pena tutta in carcere (68%) rispetto a chi invece ne sconti una parte in qualche misura alternativa (19%), dovrebbero ammettere che periodi lunghissimi di sola carcerazione (come i già 40 anni del 60enne Mastini) dimostrano di non saper dissuadere da fughe o commissioni di nuovi reati: tanto che a fine 2017 c’erano 35.222 detenuti con già altre condanne alle spalle, e addirittura oltre 6.000 con più di 5 precedenti carcerazioni. E così magari, invece di attardarsi a «buttare la chiave», potrebbero accorgersi della contraddizione di chi non si domanda quale sicurezza sociale possa mai dare un sistema che pretenda che il condannato sconti tutta e solo in carcere la sua pena, ma trova poi perfettamente normale a fine pena farlo tornare libero di colpo, da un giorno all’altro. Pericoloso come (se non più di) quando in carcere era entrato.