Fonte: La Stampa
di Marco Bresolin
Affondo del presidente della Commissione Ue, poi le scuse: «Fiducia nell’Italia». Oggi a Bruxelles dichiarazione congiunta di Merkel e Macron con Gentiloni
«Gli è scappata la frizione», scuote il capo un alto funzionario Ue (usando una metafora un po’ più colorita). Perché chi di mestiere fa il presidente della Commissione europea sa benissimo che a dieci giorni dalle elezioni non si dovrebbero dire cose del tipo: «Sono preoccupato per l’esito del voto in Italia. Dobbiamo prepararci allo scenario peggiore, quello di non avere un governo operativo». E come se non bastasse, preannunciare «una forte reazione dei mercati nella seconda metà di marzo». Eppure, ieri Jean-Claude Juncker lo ha detto. Non solo, ha aggiunto che «stiamo preparando questo scenario». I mercati gli hanno subito dato una prima risposta: lo spread con i Bund tedeschi ha chiuso a 136 punti rispetto ai 134 dell’avvio, ma con un picco a 142. Nulla di drammatico, ma la reazione c’è stata.
Gli hanno risposto anche i politici italiani dell’intero arco costituzionale, fino al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Che a mezzo stampa gli assicurato: «Ci sarà un governo operativo». L’uscita di Juncker ha provocato parecchio stupore a Roma, tanto che dai piani alti della Commissione sono dovuti correre ai ripari con una mossa in due tempi. Prima con una telefonata di scuse al premier, fatta dal potente capo di gabinetto di Junker, Martin Selmayr. E poi con un comunicato per rettificare le parole dette poche ore prima durante un intervento pubblico. Alle 19.16 – al termine di un pomeriggio piuttosto agitato – lo staff comunicazione di Juncker ha partorito una nota a nome del presidente per dire che «le elezioni sono un’occasione di democrazia» e che «qualunque sia l’esito, sono sicuro che avremo un governo che permetta all’Italia di rimanere un attore centrale in Europa e nella definizione del suo futuro».
Una sterzata a 180 gradi, che però non è servita a placare le acque. Perché la prima dichiarazione di Juncker esprime esattamente quello che è il suo pensiero, preoccupazione diffusa negli ambienti europei. La formazione di una maggioranza solida e omogenea viene considerata difficile: questo potrebbe portare a lunghi negoziati tra i partiti e, di conseguenza, alla paralisi. Del resto, in modo molto più laico, mercoledì Juncker aveva espresso lo stesso concetto: «Cosa mi aspetto dopo il 4 marzo? Un governo che governi». Il non detto, in quella dichiarazione, è che si teme proprio il contrario. Perché lo stallo rischia di interrompere il cammino di riforme e mettere a rischio i conti pubblici: entro maggio è in arrivo la richiesta dall’Ue di una manovra correttiva. Difficile da ottenere da un «governo non operativo».
Ieri Juncker ha inserito le inquietudini sull’Italia in un quadro di più ampie debolezze europea. Parlando con l’ex commissario Joaquin Almunia, ha ricordato che all’inizio di marzo ci sarà anche il referendum della Spd sulla grande coalizione in Germania. Ma questo preoccupa meno, dice, rispetto al voto italiano. Che potrebbe accompagnarsi alle debolezze e all’instabilità del «governo di minoranza in Spagna» e quindi scatenare la «reazione dei mercati nella seconda metà di marzo». La precisione cronologica e l’annuncio che l’Europa «sta preparando questo scenario avevano in un primo momento fatto pensare a un intervento voluto, mirato, da parte di Juncker. Con il passare delle ore invece si è capito che il presidente aveva solo detto quello che pensava, ma che non avrebbe dovuto dire.
Oggi Juncker incontrerà Gentiloni a Bruxelles, si chiariranno ulteriormente.
Ma a parte questo, il premier potrebbe tornare a casa dal Consiglio europeo con una bella photo opportunity da giocarsi da qui al 4 marzo. E magari anche dopo. Sono in corso contatti diplomatici per organizzare una dichiarazione congiunta con Emmanuel Macron e Angela Merkel, i due pesi massimi dell’Ue. Sarebbe un gesto di sostegno politico molto forte da parte dei leader di Francia e Germania, che qualcuno potrebbe leggere come una sorta di “riparazione” all’uscita infelice di Juncker. In realtà non è così: la decisione è maturata su un canale parallelo. Questa mattina, entrando nel palazzo del Consiglio, parleranno dell’impegno europeo nel Sahel, in particolare per sostenere il contingente anti-terrorismo (l’Ue annuncerà ulteriori 50 milioni di euro). Ma soprattutto daranno a Gentiloni la possibilità di presentarsi davanti alle telecamere in quel formato a tre che tanto piaceva a Matteo Renzi.