25 Novembre 2024
Vjosa Osani

Vjosa Osani

Pragmatica idealista, nata nella città divisa di Mitrovica, ha studiato negli Usa, parla cinque lingue, ha un marito e due figlie gemelle, è titolare d’una cattedra all’università di Pristina, ama l’Occidente più dell’Est e promette giustizia, lavoro, vaccini

Dopo il sudore della battaglia, le lacrime della vittoria: «Voglio dire solo questo. Che le donne hanno il diritto d’andare dove vogliono. Non smettete, non smettete mai d’andare avanti. Perché tutti i vostri sogni possono diventare realtà». Vjosa Osmani-Sadriu ha tenuto duro finché ha potuto e domenica sera, quando il Parlamento di Pristina l’ha eletta presidente del Kosovo, s’è commossa nel suo discorso di ringraziamento. Proprio lei, la tosta giurista di 38 anni che da dieci si scontra col machismo e le ironie della politica balcanica. Guxo («Osate!»), si chiamava il piccolo movimento che fondò per diventare deputata, e a furia d’osare ce l’ha fatta.
Presidente ad interim da novembre, dall’arresto del presidente Hashim Thaci, finito sotto processo all’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità, Vjosa è il settimo capo dello Stato in tredici anni d’indipendenza kosovara. Era una liceale, quando Thaci comandava l’Uck e faceva guerra ai serbi. Oggi è una pragmatica idealista nata nella città divisa di Mitrovica che ha studiato negli Usa, parla cinque lingue, ha un marito e due figlie gemelle, è titolare d’una cattedra all’università di Pristina, ama l’Occidente più dell’Est e promette giustizia, lavoro, vaccini: «Rafforzerò lo Stato, lo Stato di diritto», il suo motto, che significa sconfiggere la corruzione d’un Paese così giovane eppure già così marcio.
Il Kosovo è femmina. Perché Vjosa si porta dietro anche l’onda lunga d’un governo dove, su quindici ministri, sei sono donne. E un parlamento con un terzo di deputate. Non era scontato, ce la facesse. Spinta dalla super-vittoria in febbraio del nuovo premier anti-casta Albin Kurti, che ha preso la maggioranza assoluta col suo movimento per l’autodeterminazione Vetevendosje, Vjosa doveva affrontare la diffidenza di chi l’accusa d’inesperienza e la porta stretta d’una Camera in cui sono ancora forti i vecchi guerriglieri Uck. Pure le minoranze serbe s’erano pronunciate per il boicottaggio. La prima chiamata, sabato, non ha trovato il quorum e i più han pensato si profilasse uno stallo: la condizione ideale per le opposizioni e per portare il Paese alle sue seste elezioni politiche, nella speranza d’un clamoroso ribaltone.
Invece no: la figura di Vjosa, molto popolare in Kosovo, alla fine ha convinto diversi deputati a votarla a maggioranza semplice, al terzo scrutinio, e a incoronarla con 71 voti su 120. La nuova presidente ha 38 anni e resterà in carica cinque anni. E di lavoro ce n’è. Il suo non è solo un ruolo onorifico, perché le dà potere in politica estera e nel comando delle forze armate. Il Kosovo dev’essere ancora riconosciuto da quasi mezzo mondo: sono poco più d’un centinaio i Paesi che hanno aperto un’ambasciata a Pristina, mancano la Russia e la Cina amiche dei serbi, oltre a fondamentali partner europei come la Spagna e la Grecia, che temono da sempre l’effetto domino dell’indipendentismo.
Però diversi osservatori, dopo la piccola pace favorita l’anno scorso dalla presidenza Trump, vedono profilarsi un accordo con l’eterno nemico serbo. «La pace sarà raggiunta solo quando Belgrado ammetterà le sue colpe e si scuserà per la guerra del ’99», è il refrain della presidentessa, «e solo quando i criminali di guerra l’avranno pagata». In realtà, dopo quasi un quarto di secolo, i punti d’incontro sono nell’interesse sia della Serbia, desiderosa d’entrare nell’Ue, sia del Kosovo che ha problemi più urgenti. La generazione di Kurti e d’Osmani è sospinta da queste necessità, in un Paese di nemmeno due milioni d’abitanti, piagato dall’emigrazione, con un reddito medio di 500 euro mensili e una disoccupazione oltre il 50 per cento.
«Far pace con la Serbia non è una priorità», ripete spesso il premier, ma da lì non ci si scansa. E non c’è sviluppo, senza una pace definitiva. Quanto può fare Vjosa? È la seconda donna a salire alla massima carica. Chi la precedette all’inizio degli anni Dieci, Atifete Jahjaga, provò senza troppo successo a cambiare qualcosa: la stretta del «serpente» Thaci era ancora troppo forte, perché potesse avviare vere riforme. Ma ora che un Kosovo più giovane s’affaccia al mondo, ed è forte la voglia di chiudere i conti con una generazione tanto «eroica» quanto corrotta, Vjosa e Kurti possono giocarsi altre carte. Il loro partito controlla la presidenza della repubblica, il governo e la presidenza del parlamento. Solo Ibrahim Rugova, il padre del Kosovo indipendente, ebbe tanta popolarità e tanto potere: i suoi nipotini sapranno evitarne gli stessi errori?

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