19 Settembre 2024

Fonte: Il Sole 24 Ore

Mario Draghi

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Difficile che tutto si concluda in un nulla di fatto. La riunione di dicembre della Bce potrebbe segnare davvero l’inizio di un’accelerazione del quantitative easing, il Qe2, con allungamento dei tempi e forse con un’espansione degli acquisti di titoli. Le probabilità sono alte, e si trasformano quasi in certezza a proposito del taglio dei tassi sui depositi alla Bce, che scenderanno ancora in territorio negativo dall’attuale -0,20 per cento.

È da ottobre che il presidente Mario Draghi ha posto al centro dell’attenzione il tasso sui depositi, che fino ad allora sembrava avesse raggiunto, al -0,20% il suo limite minimo. Il messaggio definitivo è giunto però il 20 novembre, in un discorso all’European Banking Congress: «Il livello del tasso sui depositi presso la Bce – ha detto il presidente – può catalizzare la trasmissione degli effetti del programma (il qe, ndr) incrementando tra l’altro la velocità di circolazione delle riserve bancarie».
È una frase molto tecnica, che riguarda però un tema, quello dei depositi e delle riserve presso la Bce, sul quale si sono creati alcuni equivoci. L’utilizzo di questa liquidità per l’economia reale non porta a una riduzione delle riserve, che possono calare solo se trasformate in contanti o “restituite” alla banca centrale attraverso le operazioni di politica monetaria. Quello che avviene invece quando una banca investe per esempio in un’azienda, è un passaggio di denaro dalle sue riserve ad altre banche: quelle, per esempio, dei fornitori dell’impresa finanziata. Il totale resta invariato, dunque, anche se le riserve “si muovono” da un istituto all’altro.
Per ottenere effetti sull’economia reale, la Bce dunque non vuole e non può far calare le riserve, ma vuole che si muovano più velocemente. Per ottenere questo risultato, occorre che diventi (più) costoso tenerle ferme devono, insomma, diventare come patate bollenti, che le banche si passano le une alle altre investendo in economia reale. Abbassare il tasso sui depositi significa proprio questo, rendere più costoso tenere questa liquidità: un tasso negativo significa che le aziende di credito devono pagare la Bce per detenere questo denaro.
Questa liquidità presso la Bce è strettamente legata all’acquisto di titoli (e a tutte le altre operazioni di politica monetaria). Quando un’azienda di credito vende un Bund o un BTp alla Banca centrale europea, in cambio riceve denaro proprio sotto forma di conti correnti o riserve (che quindi non possono calare se non riacquistando i titoli, o comunque cedendo liquidità alla Bce, non certo investendole in economia reale: le imprese non finanziarie non possono detenere conti correnti alla banca centrale).
La certezza sul taglio dei tassi sui depositi nasce dal fatto che ogni estensione del quantitative easing richiede anche questa mossa sul costo del credito. E non solo perché, per questa strada, se ne amplificano gli effetti. La Bce si è infatti posta come regola di acquistare titoli il cui rendimento non sia inferiore a questo tasso d’interesse, e non sono mancate in queste settimane emissioni tedesche, finlandesi, olandesi al di sotto di questo limite.
Un buon numero di analisti prevede comunque che la Bce non si fermerà al taglio dei tassi. Un qe2 sembra quasi certo, e il mercato si è già “portato avanti”. Soprattutto il valutario: il cambio effettivo dell’euro è calato del 4% dal 21 ottobre. Sono diverse le scelte possibili: la più probabile sembra essere un allungamento del quantitative easing, che potrebbe quindi terminare nel 2017 e non più, come è oggi previsto, a settembre del 2016. Appare inevitabile, in questo caso, un aumento dell’ammontare di titoli acquistati, ma la Bce potrebbe anche aumentare il ritmo mensile degli acquisti, dagli attuali 60 miliardi.
Molto dipenderà dalla diagnosi sull’inflazione. Le nuove proiezioni dello staff della Bce – che saranno annunciate durante la conferenza stampa – si baseranno sui dati di metà mese e non prendono in considerazione dunque il dato di novembre. Anche più significativa sarà però l’analisi sulle aspettative di inflazione che, di nuovo, davano qualche segnale di cedimento, soprattutto nel breve e nel medio periodo. Nulla, su questo fronte, sembra comunque essere cambiato in meglio rispetto a ottobre, quando la Bce preannunciò, con la consueta cautela, una possibile decisione per dicembre.

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