19 Settembre 2024
Economia4

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A differenza di quanto accade negli Stati Uniti la situazione di Eurolandia non richiede una stretta ma solo un attento controllo di salari e rendimenti

Le attese sono basse: nessun cambiamento nell’orientamento né nella diagnosi dell’economia. L’inflazione continuerà a essere considerata transitoria e quindi non rilevante – malgrado l’evidente pressione sui salari reali e quindi sul potere d’acquisto – ai fini della politica monetaria. Il consiglio di febbraio della Banca centrale europea segnalerà con tutta probabilità la persistenza dell’incertezza e – se non altro per tener conto delle preoccupazioni del “falchi” – l’intenzione di controllare da vicino l’andamento dei prezzi. Non è impossibile che resti escluso, esplicitamente o implicitamente, un rialzo dei tassi nel 2022.
L’andamento dell’inflazione è sicuramente un elemento da osservare con attenzione, ma la distanza tra l’inflazione complessiva e quella core – oltretutto in calo a gennaio – e il fatto che i rialzi dei prezzi non coinvolgano tutti i settori, come avviene invece negli Stati Uniti, ma interessino solo alcuni comparti, fa sì che si possa ancora parlare di una variazione dei prezzi relativi legata anche alle interruzioni nei flussi delle forniture. A settembre l’inflazione salariale era in calo, mentre la tendenza dei salari negoziati resta in calo, malgrado le trattative inizino a volte con richieste relativamente elevate. Non c’è traccia – ma sarà importante seguire le parole della presidente Christine Lagarde in conferenza stampa – di quegli effetti di ”second round”, di seconda ondata, che potrebbero richiedere un rialzo dei tassi.
I mercati, del resto, stanno reagendo nel modo giusto, irrigidendo – se non altro “a monte” – le condizioni finanziarie di Eurolandia. Il cambio effettivo continua – è vero – la tendenza alla flessione e questo può comportare un rischio di surriscaldamento dei prezzi all’importazioni, già a volte roventi per le interruzioni delle catene di forniture. I rendimenti, che sono però di gran lunga la componente più importante delle condizioni finanziarie, sono in rialzo sulle scadenze medie e lunghe pur restando a livelli piuttosto bassi. Il rallentamento degli acquisti del piano pandemico Pepp ha probabilmente accompagnato questo fenomeno.
La componente a più breve termine – fino a due anni – che “incarna”, per così dire, la politica monetaria si mantiene intanto a livelli relativamente bassi cambiando però decisamente forma: i rendimenti a tre mesi sono aumentati e risultano marginalmente più elevati rispetto a quelli a sei-otto mesi; poi la curva diventa più ripida rispetto al passato anche recente, pur restando in territorio negativo. Qualcosa, insomma, è decisamente cambiato.
A valle, le condizioni di finanziamento – diverse dalle condizioni “finanziarie” della teoria monetaria – restano intanto piuttosto accomodanti, in modo da non frenare la ripresa. I costi dei prestiti restano piuttosto bassi, mentre i prestiti alle imprese non finanziarie sembrano accelerare dopo una fase di relativa stasi. È una situazione che sembra riuscire a sostenere la ripresa, proprio mentre la politica monetaria in senso stretto – quella che può incidere sulle aspettative, se non altro del settore finanziario – appare avviata verso una lenta moderatissima normalizzazione. Un quadro complessivo che chiede di essere confermato, non mutato. In attesa delle proiezioni del 10 marzo.

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