La mutata situazione rende opportuna una frenata, in vista della fine del programma Pepp a marzo: improbabile però l’annuncio di un azzeramento
Un rallentamento degli acquisti pandemici. Sarà questo, secondo le attese degli analisti e degli investitori, l’esito della riunione della Banca centrale europea di settembre. La ripresa sembra solida, la variante Delta ha colpito, ma non troppo duramente, Eurolandia, le vaccinazioni proseguono a buon ritmo anche se presto urteranno il muro dei no-vax più rigidi. Non sembra abbia molto senso continuare ad acquistare titoli a un “ritmo accelerato”, come nel secondo e in questo terzo trimestre del 2021.
Improbabile il tapering
Molto più difficile, però, che la Bce possa andare oltre, lanciare fin d’ora un vero tapering, e varare un programma per l’azzeramento degll acquisti (senza toccare il più convenzionale programma App, il quantitative easing 2). Anche se il programma Pepp ha limiti ben definiti, (ma flessibili): 1.850 miliardi di euro, da utilizzare fino a marzo 2022, una data non lontanissima. I “falchi” – non senza argomentazioni solide – sono inoltre molto agguerriti e spingono per una conclusione rapida della fase di emergenza. Sembra però che la Bce voglia attendere. Se non altro per la forte incertezza sulle prospettive.
Verso una fase «chirurgica»
l board sembra aver riconosciuto che la situazione è cambiata. «Mi sembra che la politica debba ora essere chirurgica – ha detto il 1° settembre, in un colloquio con il presidente del Global economic forum Klaus Schwab la presidente Christine Lagarde – Non più questione di sostegni massicci, ma di sostegno focalizzato, mirato a quei settori che sono stati colpiti duramente»: un discorso generale, ma che è difficile non riferire anche alla Bce. «In settembre dovremo decidere il volume degli acquisti per l’ultimo trimestre dell’anno – ha aggiunto in un’intervista, lo stesso giorno, il vicepresidente Luis de Guindos – Se l’inflazione e l’economia saranno in ripresa, allora ci sarà logicamente una graduale normalizzazione della politica monetaria, e anche della politica fiscale».
Il ruolo delle aspettative
La difficoltà è come ridurre gli acquisti senza creare nei mercati aspettative indesiderate: quelle per esempio di un azzeramento brusco o, al contrario, di un prolungamento del Pepp oltre marzo. La decisione di settembre, oltre che dall’equilibrio “tecnico-politico” nel consiglio direttivo, dipenderà allora dalle proiezioni dello staff – che dovrebbe vedere crescita e inflazione corretti al rialzo con il rischio quindi di “effetti di secondo round sui prezzi”, i più temuti – e dalla valutazione, inevitabilmente soggettiva anche se studiata, dell’incertezza sul procedere dell’epidemia.
Un equilibrio delicato
Si tratterà di un lavoro di delicato equilibrio. Il Pepp, ha ricordato a fine agosto in un’intervista a Reuters Philip Lane, che nel board Bce svolge il ruolo di capoeconomista, ha la funzione di mantenere favorevoli le condizioni di finanziamento, termine più ampio delle condizioni finanziarie della teoria economica ma come esse molto dipendenti dai tassi di mercato. Non si sono target da centrare, ma «la nostra tolleranza verso il livello delle condizioni finanziarie dipenderà da quanto apparirà robusta la dinamica dell’inflazione».
Inflazione in forte ma temporaneo rialzo
Sono allora molti i fattori in gioco. L’inflazione, innanzitutto, che ad agosto ha improvvisamente toccato il 3%, un valore abbandonato l’ultima volta nel 2011, con una core inflation all’1,6%, il massimo dal 2013. Le aspettative di inflazione, misurate dagli inflation rate swap 5y5y, che si riferiscono al periodo 2026-2031, ne hanno risentito, ma partivano da livelli molto bassi. Ora puntano all’1,7% e segnalano insieme – almeno al momento – una dinamica dei prezzi ancora troppo lenta ma anche l’uscita dalla fase in cui si temeva un ancoraggio delle aspettative in una fascia compresa tra l’1% e l’1,5% (con un’inflazione al 2%, le aspettative devono restare ancorate al 2%). In prospettiva, i modelli della Bce prevedono comunque un nuova rallentamento della dinamica dei prezzi.
Eurolandia in mezzo al guado
Queste sono le circostanze di fondo, che non sembrano richiedere fretta nel chiudere i programmi di emergenza. La crescita invece è ancora lontana dai livelli prepandemici, anche se la ripresa della primavera è apparsa piuttosto brillante. Il pil ha superato il livello di giugno 2020, ma resta ancora indietro rispetto al trend di lungo periodo, interrotto da fattori decisamente esogeni, come l’epidemia e i lockdown.
Priorità alla ripresa
In questa fase la Bce – malgrado una disoccupazione relativamente bassa (ma, di nuovo, alterata da fattori non certo normali) – può certamente concentrarsi sul versante reale dell’economia, nel pieno rispetto del suo obiettivo monetario. Anche se l’obiezione dei “falchi” – perché continuare a iperstimolare la domanda quando l’inflazione segnala che comunque è già superiore all’offerta – non va comunque sottovalutata, né considerata come ideologicamente motivata.
Rendimenti ancora bassi
Il livello dei tassi di mercato – che già risente delle aspettative degli investitori – è al di sopra dei minimi toccati a dicembre, ma resta più basso, malgrado una ripresa economica più rapida delle attese, rispetto a giugno. È un livello appropriato, tenuto conto anche delle prospettive di inflazione? È qui che le differenze tra falchi e colombe diventano davvero rilevanti: guardando al lungo periodo, e al futuro rallentamento dei prezzi, non sembra strettamente necessario un irrigidimento di queste condizioni monetarie, mentre considerazioni diverse – non di più breve periodo, ma di incertezza complessiva: sull’andamento dell’economia e del costo della vita e sul surriscaldamento di prezzi e quotazioni – potrebbero consigliare un graduale rialzo dei tassi di mercato.
Prestiti in frenata
A valle della catena di trasmissione della politica monetaria, mentre il costo del credito resta ovunque relativamente stabile da un anno a questa parte – cala solo in Italia, dove è ai minimi dal 2003 – l’andamento dei prestiti segnala solo una moderata, anche se stabile, crescita dopo il balzo del primo lockdown, quando i governi tentarono di “ibernare” l’economia per permetterle di superare la pandemia con danni collaterali limitati. Non si assiste né a un surriscaldamento, né a un rischio di contrazione dell’economia (anche se il livello dei debiti, pubblici e privati, resterà un vincolo importante dei prossimi anni), ma la crescita va ancora sostenuta.
Senza fretta
In buona sostanza, la Bce non ha fretta di “chiudere” il programma pandemico. Un eventuale rallentamento degli acquisti non sarebbe una sorpresa anche perché sono sempre meno necessari, mentre non c’è la necessità – e Lane lo ha ampiamente confermato – di correre: sei mesi sono molti, ha detto in sostanza il capo economista. Parole, le sue, che lasciano evidentemente intendere anche che la chiusura del Pepp – accompagnata forse da un incremento degli acquisti del quantitative easing “normale” – può avvenire nella prima parte del 2022. Anche a tappe forzate.