20 Settembre 2024

ESTERI

Fonte: Corriere della Sera

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I generali hanno ammesso la sconfitta. Ma i cavilli escogitati impediscono alla premio Nobel di diventare presidente. Anche ministeri di Interni ed Esteri riservati all’esercito

La Birmania è in festa. Prima ancora che i risultati elettorali fossero resi noti – con un ritardo di sei ore sull’ora stabilita, cosa che ha generato una certa inquietudine visti i precedenti – il popolo di Aung San Suu Kyi è sceso per strada e si è radunato davanti alla sede dell’Nld, la Lega nazionale per la democrazia, per cantare vittoria. Letteralmente: slogan e sorrisi sono andati avanti tutta la notte nella convinzione di un trionfo annunciato alle elezioni. Così è stato: quanto era stato anticipato dai rappresentanti del partito d’opposizione, presenti allo spoglio nei seggi sparsi per il Paese, è stato confermato dalla commissione elettorale. L’Nld non solo ha vinto, ha addirittura stravinto con il 70% dei suffragi (ma in alcune zone urbane ha raggiunto l’80%).

 

E ora? E’ chiaro a tutti – in particolare ai generali che hanno ammesso la sconfitta – che la Birmania vuole, esattamente come lo voleva nel 1990, che sia Aung San Suu Kyi a governare: la sanguinosa repressione di 25 anni fa ha solo ritardato un processo che non poteva essere fermato. Tuttavia, la Giunta militare, prima di togliersi le divise e dar vita a una lenta transizione verso la democrazia, ha avuto il tempo di prendere le dovute precauzioni. Ora, il premio Nobel per la Pace, per esempio, non potrà essere eletta (a marzo) presidente del Paese per via di una clausola costituzionale scritta proprio con questo scopo: vieta infatti a chiunque abbia avuto un coniuge straniero o figli con passaporto estero (Alex e Kim nel caso di Suu Kyi) di accedere alla massima carica. Ma non è tutto. Il complicato panorama istituzionale escogitato dai militari prevede che sia il ministro degli Interni sia quello della Difesa restino di esclusivo appannaggio dell’esercito, che in ogni modo non può essere sottoposto a controllo civile. In più, in Parlamento il 25% dei seggi sono di nomina militare. Ecco dunque che lo spazio in cui potrà muoversi Aung San Suu Kyi è ristretto in maniera significativa, ed è limitato ai campi più controversi: la politica economica (la Birmania ha bisogno di urgenti riforme, considerato l’alto tasso di povertà dei cittadini) e quella diplomatica – ma non le alleanze. La pasionaria birmana, che arriva al traguardo, indomita, a 70 anni, ha già detto che sarà lei a “guidare il Paese, sarò comunque sopra il presidente”. Il punto è che l’ultima parola, ancora per molto tempo, spetterà agli uomini con le stellette.

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