Quattro esempi mostrano i segni di sbandamento del Parlamento. Manca meno di un anno alle elezioni politiche da cui usciranno due rami fortemente ridotti nel numero
Sgravato del grosso della funzione legislativa, ormai nelle mani del Governo, che fa il Parlamento in questa fase di passaggio, per la fine prossima della legislatura e l’attesa riduzione del numero dei parlamentari? Per rispondere a questa domanda, prenderò quattro esempi, riguardanti ambedue le assemblee, relativi a temi importanti, la Corte dei conti, Roma, la concorrenza e i dirigenti pubblici.
La commissione affari costituzionali del Senato sta approvando in sede redigente una proposta di legge che amplia la funzione consultiva della Corte dei conti, il suo controllo preventivo, il suo controllo concomitante, specialmente in funzione del piano di ripresa. Lo scopo dichiarato è quello di schermare i funzionari pubblici dalla responsabilità nell’uso del denaro pubblico, evitare che procure e giudici penali li perseguano per colpa grave, producendo la «paura della firma» e la «burocrazia difensiva». Lo scopo non dichiarato della proposta è di soddisfare anche gli appetiti della Corte dei conti e le sue aspirazioni a ridiventare co-gestore dell’amministrazione attiva.
Nel corso della discussione parlamentare non è stato però ricordato che per il piano di ripresa è stato già istituito un Servizio centrale, a sua volta articolato in ben sei uffici dirigenziali, presso la Ragioneria generale dello Stato; che — come scrisse nel 1944 uno dei più alti funzionari dello Stato — «i controlli formalistici e minuti sono delle ragnatele che servono a irretire i moscerini, non gli avvoltoi».
Non è stato neppure ricordato che i controlli preventivi producono necessariamente quella lentezza dell’amministrazione che tutti lamentano; che i controlli preventivi e quelli concomitanti, introdotti per difendere la burocrazia, la trasformano in un sorvegliato speciale; che, se lo scopo è di liberare la burocrazia della spada di Damocle delle procure, bisogna andare alla radice e definire le fattispecie penali che intimoriscono i dipendenti pubblici; che, infine, la Corte dei conti dovrebbe svolgere il compito assegnato ad essa dalla Costituzione, di occhio del Parlamento, non co-gestendo le singole decisioni amministrative, ma valutando complessivamente costi e rendimenti della finanza pubblica. Insomma, il Parlamento mette alla cieca delle toppe che non serviranno, e, invece di risolvere i problemi che affronta, ne crea altri.
Il secondo esempio è il testo di modifica dell’articolo 114 della Costituzione approvato dalla commissione affari costituzionali della Camera dei deputati. Esso attribuisce al comune di Roma potestà legislativa (con esclusione della sanità), facendolo diventare una mini-regione.
Nel corso del dibattito parlamentare non si è valutato che Roma non soffre di un deficit di potestà normativa, ma di un deficit di capacità amministrativa; che le leggi non eviteranno ai romani di trovarsi i cinghiali sotto casa; che creare una mini regione romana ridurrà la regione Lazio a una ciambella o a un guscio vuoto, innescando una tensione permanente tra città e regione; che l’aumento dei legislatori in Italia accresce lo sbriciolamento normativo di cui già soffriamo; che i problemi di Roma derivano dall’essere la capitale, e che quindi vanno affrontati rafforzando i raccordi con lo Stato centrale. Insomma, a Roma non serve di poter dettare leggi, ma di connettersi meglio con le esigenze della capitale, cioè con la nazione, e di essere amministrata, non abbandonata a sé stessa, com’è oggi.
Terzo esempio: le concessioni balneari. Queste riguardano un bene pubblico, il lido del mare, e non possono essere date in eterno agli «incumbent», riconoscendo un «diritto di insistenza» perpetuo o continuamente prorogato. Bisogna, quindi, fare gare e il governo, con un suo emendamento all’originario disegno di legge sulla concorrenza, ha trovato il giusto equilibrio tra l’apertura, la tutela dei gestori attuali e della continuità aziendale e i limiti alle concentrazioni. L’ha riconosciuto anche il Sindacato italiano balneari, che ha dichiarato, per bocca del suo responsabile, che «la proroga è la non risposta che una politica pavida dà alle nostre richieste di chiarezza normativa».
Il dibattito parlamentare è, ciononostante, ancora aperto, forse perché qualcuna delle 30 mila imprese balneari o qualche gruppo dei 300 mila addetti stagionali non è ancora soddisfatto e il Parlamento non valuta che è importante stabilire il principio della gara, riconoscendo, tuttavia, nella competizione, esperienze e investimenti pregressi, e che la varietà delle situazioni locali richiede una normativa nazionale di principio, da gestire poi localmente per tener conto delle diversità.
Quarto esempio: al decreto Ucraina, in sede di conversione in legge al Senato, è stata aggiunta una norma di stabilizzazione dei titolari di incarichi dirigenziali temporanei, pratica già dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale. Pare che il pericolo sia stato sventato e l’emendamento stralciato. Ma questo è il segno di una pessima gestione dell’«iter» parlamentare della conversione dei disegni di legge, ormai fuori dalle procedure formali e frutto di meri accordi politici che non consentono di valutare tecnicamente i testi, ai quali non si dovrebbero «appendere» norme di contenuto estraneo. Ed è ulteriore prova dell’uso della cosa pubblica fatto da taluni politici, non rispettando i principi costituzionali sull’accesso alle cariche e agli uffici pubblici.
Questi quattro esempi mostrano i segni di sbandamento del Parlamento. Questo non riesce a mettere a fuoco i problemi, e adotta soluzioni per difficoltà che non esistono; opera interstizialmente; non va alla radice degli ostacoli che vorrebbe superare; allunga, invece di abbreviare, i tempi dell’azione statale; dà eccessivo ascolto alle «voci di dentro»; tralascia i grandi problemi del Paese, quelli della sanità, della scuola, della protezione sociale.
Manca meno di un anno alle prossime elezioni politiche nazionali, da cui usciranno due rami del Parlamento fortemente ridotti nel numero. Alla diminuzione quantitativa si accompagnerà un maggiore «peso» di ciascun parlamentare. Sarebbe quindi bene che le forze politiche riflettessero sulla necessità di portare in Parlamento una quota di candidati che all’esperienza politica affianchino esperienza di legislatori, allo stesso modo in cui, in passato, si è fatto – per citare solo alcuni nomi – con Bruno Visentini, Leopoldo Elia, Pietro Scoppola, Guido Rossi, Gino Giugni.