
Come ritorsione all’ennesima stretta sul fronte dei semiconduttori, Pechino ferma l’export negli Stati Uniti di gallio, germanio e antimonio, metalli importanti anche nell’industria della difesa
La ritorsione cinese contro gli Stati Uniti non si è fatta attendere. E ha messo nel mirino una serie di metalli strategici, di importanza cruciale non solo nelle applicazioni hi-tech ma anche nell’industria della difesa. Stiamo parlando di gallio, germanio e antimonio, per cui Pechino ha annunciato lo stop immediato alle esportazioni negli Usa: una “vendetta” annunciata poche ore dopo l’ennesima stretta di Washington sul fronte dei microchip.era già stato limitato con provvedimenti emanati dal Governo tra il 2023 e il 2024. Le nuove disposizioni – che si applicano esclusivamente agli Usa – sono state giustificate dal ministero del Commercio cinese come necessarie a tutela della sicurezza nazionale, poiché si tratta di materiali che si prestano a un doppio impiego, in ambiti civili e militari: il cosiddetto “dual use”. Pechino ha anche prescritto una sorveglianza più rigorosa sugli impieghi finali per la grafite venduta a clienti statunitensi.
Le misure appena annunciate evidenziano come le guerre commerciali – che Donald Trump minaccia di intensificare una volta insediato alla Casa Bianca – possano provocare escalation rapide e pericolose, soprattutto quando nel mirino c’è un Paese come la Cina, che vanta un posizione di forza in molte filiere di approvvigionamento e addirittura un predominio quasi assoluto nel caso di alcuni prodotti e materiali. Si pensi ad esempio ai pannelli fotovoltaici, o ad alcune terre rare usate nei supermagneti.
Contro gli Stati Uniti Pechino non ha esitato a usare l’arma delle materie prime, come ha già fatto in diverse occasioni nel passato. E questa potrebbe rivelarsi un bazooka, anche se gli effetti potrebbero non essere immediatamente visibili. Per gallio e germanio in particolare – entrambi usati nei semiconduttori e sottoposti a controlli sull’export dall’estate 2023 – l’embargo è già di fatto in vigore da tempo: le spedizioni negli Usa si sono azzerate nei primi dieci mesi di quest’anno, secondo le statistiche doganali cinesi, il che fa pensare che gli utilizzatori statunitensi stiano attingendo alle scorte. Il riciclo è limitato e il ricorso a fornitori alternativi è un’ipotesi poco praticabile.
Nel caso del germanio la Cina controlla circa il 60% della produzione del metallo raffinato, che serve (oltre che nei microchips) anche nelle tecnologie a raggi infrarossi, nei cavi di fibra ottica e nelle celle solari. Quello cinese è invece in pratica un monopolio nel caso del gallio raffinato, impiegato tra l’altro nei Led, nei circuiti a infrarossi e in sistemi di difesa missilistica e radar di ultima generazione: Pechino ha una quota del 98,8% della produzione globale, secondo la società di consulenza Project Blue.
Un bando totale all’export cinese di gallio e germanio potrebbe costare all’economia Usa 3,4 miliardi di dollari l’anno, aveva avvertito un mese fa lo US Geological Survey.
Si preannunciano difficoltà sempre più serie anche per l’antimonio, metallo con impieghi critici rilevanti nel settore della difesa, essendo usato ad esempio nelle munizioni, nei missili a infrarossi, nelle armi nucleari, negli occhiali per la visione notturna. Le esportazioni cinesi si sono già fermate quasi del tutto, verso qualsiasi destinazione, crollando del 97% tra settembre e ottobre, scrive la Reuters.
La Repubblica popolare controlla circa la metà della produzione mineraria, i prezzi stanno già salendo ovunque nel mondo e negli Usa esiste una sola fonderia, controllata da US Antimony Corp (Usac): l’impianto di Thompson Falls, in Montana, in grado di produrre 20 milioni di libbre l’anno di ossidi e metallo, ma partendo da minerali importati (fino a poco tempo fa soprattutto dalla Cina). Gli Usa hanno chiuso l’ultima miniera di antimonio nel 2001 e riprenderanno ad estrarne non prima del 2028, quando Perpetua Resources conta di avviare il deposito Stibnite in Idaho (oro e antimonio).