Fonte La Repubblica
di Giuliano Balestreri
I listini cinesi sono crollati del 7% e hanno fatto scattare il blocco automatico degli scambi, che d’ora in poi verrà rimosso. La Banca centrale di Pechino ha annunciato una nuova svalutazione dello yuan dello 0,5%. I mercati occidentali hanno prima reagito con forti vendite, poi hanno recuperato insieme al petrolio: Milano -1,2%. L’Opec ha portato il prezzo del greggio nel paniere sotto quota 30 dollari. Apple: persi 52 miliardi di capitalizzazione da inizio 2016
Nuovo drammatico crollo delle Borse asiatiche che arrivano a perdere anche il 7%, facendo scattare il blocco automatico delle contrattazioni per la seconda volta in una settimana. E così mentre Shanghai lasciava sul parterre il 7% e Shenzen crollava dell’8,5%, gli scambi sono stati immediatamente fermati. Le autorità cinesi hanno deciso che sarà l’ultimo intervento, visto che il meccanismo rischia di alimentare ulteriore volatilità.
I mercati Ue hanno reagito con violente vendite nella mattinata, salvo poi recuperare con il petrolio nel pomeriggio. Piazza Affari ha chiuso così in ribasso, ma limitando le perdite all’1,14% e dopo esser scesa sotto 20mila punti, ai livelli di fine gennaio 2015. Londra ha limato l’1,96%, Francoforte il 2,29% e Parigi l’1,72%. Anche Wall Street chiude in ribasso: il Dow Jones perde il 2,32%, il Nasdaq cede il 3,03% mentre lo S&P 500 lascia sul terreno il 2,4%. Da segnalare l’avvio di 2016 da dimenticare per Apple, che arretra di oltre il 4% e per la prima volta dall’ottobre 2014 conclude la seduta sotto i 100 dollari: in pochi giorni ha perso circa 52 miliardi di dollari di capitalizzazione.
A complicare inizialmente la situazione, inizialmente, ha contribuito la decisione della Banca centrale cinese di svalutare ancora lo yuan dello 0,51% nei confronti del dollaro, il livello più basso raggiunto dal 2011. La mossa è stata letta degli investitori, dietro il tentativo palese di Pechino di rilanciare l’export, come un segnale che l’economia cinese potrebbe rallentare più del previsto: di certo la volatilità della valuta orientale non aiuterà i rapporti con l’Occidente, a maggior ragione dopo che lo yuan è entrato nel paniere ufficiale del Fmi. In Asia, Hong Kong ha perso oltre il 3% e Tokyo il 2,33%, registrando la sua quarta seduta di fila in caduta decisa. A preoccupare gli addetti ai lavori, oltre alla debolezza della crescita economica mondiale, sono i venti di guerra che spirano dalla Corea del Nord con la minaccia atomica del paese che annuncia: “Abbiamo fatto esplodere una bomba H”. Ad alimentare le tensioni contribuisce anche l’Iran con il governo di Teheran che ha vietato l’ingresso nel Paese di tutti i prodotti sauditi o provenienti dall’Arabia Saudita dopo l’interruzione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.
La situazione resta in ogni caso tesa su più fronti. Pechino ha varato una serie di misure per evitare il tracollo. L’ente regolatore del mercato di Borsa cinese ha annunciato nuove norme per limitare la capacità di vendita dei titoli del grandi azionisti cinesi a un massimo dell’1% del totale delle azioni di un’azienda. In questo mondo, i grandi azionisti (quelli che che detengono il 5% o più di un’azienda) non potranno liberarsi di oltre l’1% del totale nell’arco di tre mesi, e saranno anche obbligati ad annunciare al mercato i loro piani con almeno 15 giorni di anticipo. Queste regole, che entreranno in vigore da sabato, si applicheranno anche al mercato secondario.
La nuova decisione ha allungato il termine di una misura precedente, che sarebbe decaduta domani ed era tra le misure straordinarie prese dal governo per arginare l’ondata di vendite che, in pochi giorni, bruciò migliaia di miliardi di dollari e scosse i mercati mondiali. Secondo gli analisti, il crollo odierno (come quello di lunedì) si spiega proprio con la fine delle limitazioni imposte a luglio. L’estate scorsa, la ‘Consob’ cinese aveva vietato ai grandi azionisti la vendita anche di una sola azione per sei mesi; scadendo domani quel termine, il mercato avrebbe reagito prevedendo una ripresa di vendite da parte dei grandi azionisti.
Intanto, la Banca Mondiale ha rivisto al ribasso il Pil: 2,9%, uno 0,4% in meno rispetto a quanto previsto. Pesa, secondo l’organismo centrale, il perdurare della crisi cinese che incide anche sul mercato del petrolio. Oggi i prezzi del greggio sono scesi ai minimi dal 2003, ma poi è tornato un po’ di sereno. Quando in Europa hanno chiuso gli scambi, a New York il Wti a febbraio aveva annullato le perdite e recuperato quota 32 dollari al barile, dopo essere arrivato fino a 32,10 dollari, minimi del dicembre 2003. Dinamica simile per il Brent, tornato a 34,2 dollari dopo sser scivolato fino a quota 32,16 dollari, minimi dell’aprile 2004. Per alcuni analisti la soglia dei 30 dollari non è più così lontana. Intanto il prezzo nel paniere di riferimento dell’Opec è sceso sotto i 30 dollari al barile per la prima volta dal 5 aprile 2004. In Arabia Saudita, il governo valuta la quotazione della compagnia petrolifera statale Aramco. Il crollo dei mercati ridà fiato al prezzo dell’oro, finito in affanno negli ultimi mesi per via del rialzo dei tassi Fed e l’apprezzamento del dollaro: il metallo con consegna immediata risale sopra la soglia dei 1.100 dollari l’oncia (+0,8% a 1.102,85).