Fonte: Corriere della Sera
di Franco Venturini
La Dea Fortuna ha avuto qualche complice nel decretare che l’Agenzia del farmaco, sfrattata da Londra causa Brexit, non sarebbe venuta a Milano. Il trasferimento in corso d’opera di una grande agenzia europea non si era mai visto, serviva una procedura del tutto nuova per stabilire chi avrebbe conquistato il diritto ad accogliere l’Ema e il suo considerevole giro d’affari. E qui siamo al primo capitolo, ricordato da Paolo Lepri sul Corriere di ieri. Nel giugno scorso, in occasione del Consiglio europeo, i capi di Stato e di governo dei Ventisette approvano all’unanimità le «linee guida» del nuovo metodo. Il testo è molto dettagliato, comprende anche l’ipotesi del sorteggio nel caso si arrivasse a una parità di voti tra candidature diverse. Incautamente a questa ipotesi nessuno crede, perché il numero dei votanti sarà dispari e comunque i primi due turni di votazione decideranno di sicuro la contesa. Doppio errore: e se qualcuno decidesse di astenersi (come ha fatto lunedì la Slovacchia offesa dalla bocciatura di Bratislava)? Oppure se il gioco delle alleanze modificasse gli schieramenti in maniera imprevista?
L’Italia che con Milano parte favorita si accorge troppo tardi che quella procedura contiene una insidia. Ma non basta, perché nelle settimane e nei mesi successivi anche la Commissione guidata da Juncker e la presidenza del Consiglio impersonata da Tusk esercitano la loro influenza.
Con la copertura politica e tecnica delle scelte già fatte dal Consiglio, cioè dai governi europei, tanto Juncker quanto Tusk vogliono mostrarsi il più possibile imparziali, aperti ai Paesi piccoli come ai Paesi grandi, a quelli del sud come a quelli del nord. La conseguenza automatica di questa linea è che la Commissione accetta tutte le candidature presentate (19, poi diventate 16 per tre ritiri volontari), e si guarda bene dal compiere una selezione, sollecitata dall’Italia, sulla base dei parametri tecnici concordati: location, trasporti, scuole per i figli, assistenza medica, e via di questo passo.
È in questa seconda fase che cresce la candidatura di Bratislava, sebbene Milano resti la favorita per le garanzie funzionali che offre e per l’efficace azione delle autorità centrali e locali. L’Est europeo, si ragiona a Bruxelles, non ospita alcuna agenzia europea. Un segnale distensivo sarebbe opportuno, viste le molte divergenze esistenti con il gruppo di Visegrad. Già, ma Bratislava non ha i parametri che servono per vincere, e nemmeno per andare oltre il primo turno di votazioni. Per questo il suo rappresentante, scegliendo una linea di cui probabilmente non valuta l’importanza in quel momento, si fa prendere dalla rabbia e decide di astenersi nelle votazioni successive. Le istituzioni di Bruxelles hanno fallito il loro obbiettivo segreto, Milano resta in corsa ma ecco riemergere la solita vecchia Europa: gran parte del blocco nord contro gran parte del blocco sud, i grandi in linea di massima contro i piccoli ma pronti a fare giochi più sofisticati, alleanze che si fanno e che si disfano in un clima che ha qualcosa di strano.
Strano? Già, perché questa volta la Germania non comanda, non mette ordine, non dice cosa si può e cosa non si può fare, non disegna le alleanze che preferisce. Francoforte voleva l’altra grande agenzia in gioco, quella bancaria, ed è stata umiliata da quattro voti favorevoli. Se volete avere tutta la finanza a casa vostra questa volta diciamo no, sembra essere la ripicca dei più contro il gigante diventato improvvisamente debole perché in quelle stesse ore fallisce a Berlino il negoziato per formare un nuovo governo. La Francia ne approfitta subito, dimentica i precedenti accordi con Berlino e si prende l’Eba battendo Dublino nella stessa urna che condanna Milano e fa vincere Amsterdam.
Non si parli di «biscotti», per carità. Questa è politica, questo è il gioco delle alleanze e delle convergenze che è sempre esistito tra gli Stati nazione che formano l’Europa. E l’orrore della sceneggiata finale, irresistibilmente simile alle nostre estrazioni del Lotto, ci sarebbe probabilmente piaciuto se la «mano innocente» avesse estratto Milano invece di Amsterdam con tanto di procedura approvata dal Consiglio. Forse, se Milano avesse avuto dalla Dea bendata quel che meritava, avremmo persino mancato di osservare i segnali non trascurabili che vengono dalla riffa dell’Agenzia del farmaco. Ma oggi almeno questo possiamo evitarlo.
L’avvento della instabilità tedesca, quale che ne sia lo sbocco, cambia profondamente l’Europa. La figuraccia dei voti avuti da Francoforte è ben poca cosa rispetto al caos progettuale che può impadronirsi della Ue se la bilancia politica di Berlino resterà in bilico troppo a lungo. E la Francia di Macron, pur importante e meritevole nel riempire provvisoriamente il vuoto tedesco, non sarà in grado di mettersi stabilmente al timone europeo senza il conforto dell’asse con l’amica-rivale Germania.
È gravemente miope la speranza di quegli italiani che festeggiano la debolezza tedesca, invece di preoccuparsi dei nuovi equilibri (o squilibri) che potrebbero disegnarsi in una Europa senza guida. E con Trump dall’altra parte dell’Atlantico.
Come andrà a finire questa ennesima partita europea? Nessuno lo sa, l’inizio è stato appena fischiato. E noi italiani, ingoiato il rospo di Milano, siamo attesi da una prova che sarà ben più importante per l’Italia e per l’Europa. Le elezioni con il loro bagaglio di ulteriori incertezze, beninteso.