Fonte: Corriere della Sera
di Maria Serena Natale
Il Paese dell’Est ha assunto la presidenza di turno dell’Unione. Ed è già polemica
«Tecnicamente preparato ma incapace di ascoltare gli altri». È in sintesi il giudizio espresso dal capo della Commissione europea Jean-Claude Juncker sul governo della Romania, che il primo gennaio ha assunto la presidenza di turno dell’Unione. Non proprio un messaggio d’incoraggiamento. Per la prima volta dall’ingresso nella Ue (2007), fino al 30 giugno sarà Bucarest a coordinare l’agenda comunitaria. Semestre impegnativo nel quale occorrerà gestire, oltre alle lacerazioni di un panorama politico stravolto dall’ascesa dei nazional-populisti, passaggi delicati come la Brexit fissata per il 29 marzo e le elezioni europee di fine maggio. Per il Paese ex comunista in attesa di aderire alla moneta unica, sarà l’occasione di dimostrare i progressi nella transizione alla democrazia ma anche una fase di forte esposizione che già mette in luce un sistema di potere piagato da corruzione e clientelismi.
Inoltre le riforme degli ultimi due anni per rafforzare il controllo dell’esecutivo sui giudici e modificare il codice penale hanno alzato il livello di guardia a Bruxelles. La scorsa estate in migliaia hanno manifestato contro la parziale depenalizzazione dell’abuso d’ufficio e chiesto le dimissioni del governo di centrosinistra oggi guidato da una donna, Viorica Dancila (il terzo premier dal 2017), ma di fatto manovrato dal leader del Partito socialdemocratico Liviu Dragnea, in aperto conflitto con il presidente Klaus Iohannis. A luglio un’altra donna, la direttrice dell’Ufficio nazionale anti-corruzione Laura Codruta Kovesi, è stata rimossa. Bucarest è sempre più allineata ai sovranismi autoritari del Centro-Est – e le procedure d’infrazione contro Ungheria e Polonia saranno tra i dossier caldi dei prossimi mesi. Nell’Europa cacofonica di Juncker, la Romania rischia una regressione democratica. Parlare al conducente.