22 Novembre 2024

Molti elementi suggeriscono che è necessario scongiurare il pensiero che l’Italia cresca con il pilota automatico, che la politica possa disinteressarsi dei temi della crescita e dedicarsi ad altri dossier

Le code autostradali di 25 chilometri che si sono registrate domenica sera in Liguria rappresentano un’istantanea che certo non riassume tutto ma ci dà più di qualche traccia per capire l’Italia di oggi. Sia a livello sociologico sia sul versante della fotografia dell’economia reale. È chiaro a tutti che l’uscita dalla pandemia ha generato un «bisogno di mobilità», una necessità impellente di staccare dalla routine, la voglia di cercare un altro tempo di vita che sta segnando con i suoi numeri persino gli andamenti congiunturali. Il turismo, sia nella componente interna sia in quella estera, è il tratto identitario di una stagione che sul versante meteorologico è in ritardo ma per quello che riguarda l’accoglienza e gli spostamenti dei visitatori segna numeri di crescente consenso. Che addirittura non temono più paragoni con il “mitico” 2019. Ma la domanda che ci dobbiamo fare è se i servizi riusciranno ad assicurare all’Italia la continuità necessaria nella crescita o se questa spinta alla fine si rivelerà insufficiente.
Nessuno può negare che i numeri del Prodotto interno lordo siano lusinghieri, abbiamo già un aumento acquisito dello 0,9 per cento che dovrebbe consentire, anche in caso di stagnazione, di raggiungere e superare la quota dell’1 per cento. Ma la soddisfazione di questi numeri non ci deve portare a sottovalutare tutta una serie di caveat. Proviamo a elencarli.
Innanzitutto nella seconda parte dell’anno la spinta dei consumi che sono rimasti sostenuti, grazie al supporto del risparmio accumulato sotto pandemia, tutt’al più si stabilizzerà anche per effetto del minore esborso per la bolletta energetica. Gli effetti che sul Pil hanno avuto gli incentivi fiscali legati alle costruzioni nel tempo che ci aspetta avranno una sempre minore incidenza. La domanda internazionale è in contrazione e come abbiamo visto già negli ultimi dati le conseguenze sulle nostre esportazioni sono pressoché immediate. Infine la stretta monetaria nella seconda parte dell’anno è destinata a farsi sentire e a condizionare pesantemente gli investimenti privati, al punto che gli operatori più avvertiti invitano le imprese ad anticipare le scelte a prima dell’estate. Per carità di patria non calcheremo la mano sui ritardi che riguardano il Pnrr e che obiettivamente stanno minando quello che sarebbe stato un potente fattore di crescita del Paese.
Sul versante delle imprese vale l’analisi del Centro Studi Confindustria che parla di «scenario in peggioramento». La manifattura non apporterà granché al Pil del 2023 anche se i bilanci che si sono chiusi, riferiti all’anno scorso, sono sicuramente migliori di quelli precedenti. È vero che abbiamo potuto riscontrare, tra i beni durevoli, una significativa ripartenza delle vendite di auto ma si tratta in realtà di ordini che vengono onorati in ritardo a causa delle difficoltà di approvvigionamento di alcune componenti-chiave. Pesa poi sulla manifattura italiana la congiuntura avversa della Germania che, non dimentichiamolo, vale il 12 per cento del nostro mercato di sbocco ed è attualmente in recessione, seppur tecnica, a causa di due trimestri negativi. L’insieme di queste considerazioni ha solo un obiettivo: quello di evitare che, letti i numeri del Pil, si generi per i prossimi mesi una sorta di rilassamento. La recessione italiana non ci sarà e tutti ne siamo confortati, i nostri dati del Pil sono migliori di quelli di alcuni tra i partner più significativi ma, attenzione, non stiamo costruendo i presupposti di una crescita sana e sostenuta.
E per averne conferma basta porre attenzione all’andamento dell’inflazione che non scende ancora alla velocità desiderata. Il crollo dei prezzi del gas non ha dato quei benefici che ci aspettavamo e il costo del cosiddetto carrello della spesa è ancora troppo elevato (e produrrà danni sul versante sociale con l’allargamento delle disuguaglianze di reddito tra ceti abbienti e classi disagiate). Possiamo aggiungere anche il malcelato sospetto che una ripresa fondata sui servizi e in particolare il turismo possa avere come effetto indiretto persino un sovrappiù di inflazione. Da tutte queste considerazioni la conclusione che se ne può trarre è quella di scongiurare il pensiero che l’Italia cresca con il pilota automatico, che la politica possa disinteressarsi dei temi della crescita e dedicarsi ad altri dossier. Da come gestiremo anche la seconda parte dell’anno in corso dipendono le sorti del 2024, l’anno di svolta che segnerà il ritorno delle politiche fiscali e delle regole comunitarie di bilancio.

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