Fonte: Corriere della Sera
di Dario di Vico
Dopo i dati negativi dell’Istat sul fatturato e gli ordinativi dell’industria a dicembre. Il tema «recessione» non riesce a entrare nell’agenda politico-governativa. Lega e M5S non sembrano attrezzati a misurarsi con la malattia e con le terapie possibili
Ci sono dei momenti in cui si sente la necessità di ascoltare la voce di una Cassandra. E oggi è indispensabile richiamare tutti a un esame più approfondito (e severo) dei dati dell’economia reale che via via affluiscono. Solo per limitarsi a quanto abbiamo saputo nella giornata di ieri, l’Istat ci ha informato che il fatturato industriale in dicembre è crollato del 3,5% se paragonato al mese precedente e del 7,3% rispetto allo stesso mese del ‘17. E Unioncamere Veneto ha reso noti numeri ancor più desolanti: nei prossimi tre mesi si attende un calo della produzione dell’11%, degli ordinativi interni del 13,1% e del fatturato del 7,3%. Se poi riavvolgiamo di qualche giorno il nastro spicca la previsione di Prometeia per il Pil 2019: un misero +0,1. Per arricchire la fenomenologia conviene dare un’occhiata al lavoro e allora non si può tacere come la quantità degli esuberi segnalati dalle nuove crisi aziendali sia di svariate centinaia di unità.
Oltre 800 posti in ballo nel caso Sirti (telecomunicazioni), circa 600 nel gruppo Carrefour e si temono notizie analoghe provenienti dalla grande distribuzione cooperativa. Basta mettere in fila queste informazioni per ricavarne la sensazione di un’accelerazione dei processi di ridimensionamento e ristrutturazione. È vero che negli anni della Grande Crisi il sistema delle imprese è stato capace, grazie alla diffusione delle filiere, di rendere molto più flessibile il ciclo produttivo e quindi si è messo in condizione di reagire tempestivamente agli choc negativi. Ma, come messo in evidenza dagli analisti più attenti, ciò comporta quantomeno il posticipo dei piani di investimento e comunque un compattamento delle filiere non è indolore, si scarica inevitabilmente sul sottosistema della fornitura e delle Pmi.
Ad aggravare il quadro clinico c’è da rimarcare come il tema «recessione» non riesca ad entrare nell’agenda politico-governativa, i principali player hanno altre priorità davanti a sé e nessuna intenzione di misurarsi con la malattia e le terapie possibili. Leghisti e pentastellati non sembrano attrezzati alla bisogna e appaiono incapaci sia di far partire quei cantieri che Vincenzo Boccia chiede ogni giorno di aprire sia di ragionare in maniera più strutturata per evitare quello che alle Cassandre appare come un incombente restringimento dell’economia italiana.
La palla passa quindi alle parti sociali. Il sindacato non dovrebbe disperdere l’effetto positivo della manifestazione di piazza San Giovanni e dare continuità alla sua azione mentre Confindustria è chiamata ad accelerare su almeno due versanti. Il primo riguarda il varo della vertenza dell’auto che serve a dare una prospettiva di politica industriale a un settore alle prese con una difficile transizione, il secondo investe «il patto per il lavoro» che si vorrebbe siglare con Cgil-Cisl-Uil. Da queste colonne Innocenzo Cipolletta ha suggerito alle parti sociali di non limitarsi a sommare le rispettive rivendicazioni ma di trovare il modo di costruire uno «scambio» virtuoso su mercato del lavoro e crisi aziendali. Si accetti o meno questo schema il tempo appare comunque tiranno. Non è stagione per i tiratardi.