Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Franco
L’impressione è che per il governo non siano prevedibili scossoni in tempi brevi, a meno che lo spread si impenni. Proprio lo scarto tra le percentuali che il M5S ottenne un anno fa e quelle di domenica potrebbe portarlo a sostenere l’esecutivo il più a lungo possibile
Forse è presto per ipotizzare un «nuovo bipolarismo», come fa il candidato più forte alla segreteria del Pd, Nicola Zingaretti. Sembra dare per scontato lo squagliamento definitivo del Movimento Cinque Stelle. E scommette sulla ripresa di una sinistra ancora tutta da costruire.
Evidentemente, però, il secondo posto raggiunto in Sardegna, che si aggiunge a quello in Abruzzo, è considerato un buon punto non per vincere ma almeno per ripartire. E il fatto che il timido segnale di tenuta avvenga con un ricompattamento della sinistra, per Zingaretti è l’elemento più confortante. È l’obiettivo al quale punta, insieme con la nomenklatura dem decisa a archiviare la fase del renzismo; e che, sebbene a fatica, cerca di riannodare i fili e di ridare forma alle macerie lasciate da sconfitte mai analizzate a fondo.
Il tentativo è di archiviare anni di scissioni e conflitti interni: sebbene se ne percepisca tuttora un’eco rumorosa e non si escludano lacerazioni dopo le Europee.
Il «nuovo bipolarismo» suona dunque come una scommessa: riportare nell’alveo di un Pd «allargato» una parte dei voti emigrati verso i Cinque Stelle, verso l’astensione o perfino la Lega di Matteo Salvini. Le Europee di maggio serviranno a capire se può funzionare.
Operazione non facile. Il 4 marzo 2018 è stato uno spartiacque, e pensare solo di tornare indietro è illusorio. Le proporzioni dicono che in realtà al Pd e alla sinistra occorrerà un lungo percorso per tornare competitivi; oltre tutto con alcune incognite pesanti da chiarire nei prossimi mesi.
Il sollievo dato dalla sensazione di sentirsi «malati ma vivi» è già qualcosa. Non abbastanza, tuttavia, per ritenere che sia cominciata un’inversione di tendenza. La stessa previsione che le sconfitte locali del M5S e le affermazioni leghiste terremotino il governo è tutta da vedere. L’esecutivo mostra certamente la corda; non si capisce come affronterà la congiuntura economica; e soffre il travaso di consensi da Luigi Di Maio a Salvini. Eppure, a livello nazionale la popolarità del premier Giuseppe Conte e del governo rimane alta; idem quella della maggioranza.
L’impressione, dunque, è che non siano prevedibili scossoni in tempi brevi, a meno che lo spread si impenni. Qualche preoccupazione ci deve essere se il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, arriva a ammettere che nessuno verrà a investire in Italia se il governo non sta ai patti, cambia i contratti e le leggi e le rende retroattive. Ma, per paradosso, proprio lo scarto tra le percentuali da primo partito che il M5S ottenne un anno fa, e quelle di oggi, potrebbe portare i grillini a sostenere il «loro» esecutivo il più a lungo possibile. Il Pd può solo aspettare, in umiltà. E, nell’attesa, cambiare senza farsi troppo male da solo.