Nella biblioteca di Dante c’erano soltanto 76 libri. Oggi circola una enorme quantità di contenuti digitali ma è diffusa la pretesa che siano gratuiti
Esattamente 550 anni fa, nell’aprile del 1472, veniva stampata a Foligno, zona di cartiere benedettine, la prima edizione della Divina Commedia di Dante Alighieri. Nel Palazzo degli Orsini ne è rimasta una sola pagina del «Paradiso» a testimoniarlo. A rendere possibile la stampa delle 800 copie con quella che all’epoca venne chiamata artem artificialiter scribendi (artificiale, lo stesso aggettivo che oggi usiamo per definire l’intelligenza dei computer) fu l’arrivo di Giovanni Numeister, un allievo di Johann Gutenberg. La Commedia — definita in realtà Divina dal Boccaccio — fu dunque uno dei primi libri ad essere stampato con la tecnologia dei caratteri mobili. Solo un anno fa, peraltro, l’Accademia dei Lincei organizzava una mostra sulla «biblioteca di Dante», cioè sui libri che il sommo poeta aveva avuto a disposizione: 76.
Oggi che la circolazione dei contenuti digitali sembra avere un valore di mercato altissimo ma un valore di acquisto vicino allo zero e che, secondo le stime, l’umanità ha prodotto in poco più di venti anni molto più di quanto avesse fatto dalle grotte di Lascaux alla nascita di Google, questi numeri paiono risibili. Eppure per secoli i libri sono stati pesati più che contati, come si vantava di fare con le azioni il padre di Mediobanca, Enrico Cuccia. Ne abbiamo avuto una riprova anche con il ritrovamento di due dei preziosi taccuini di Charles Darwin qualche giorno prima di Pasqua: tra il 1836 e il 1844 ne scrisse appena nove, rivoluzionando la conoscenza dell’origine della vita. Arrivato nel 1914 all’Università di Cambridge — dove Darwin aveva studiato un secolo prima — il matematico autodidatta Srinivasa Ramanujan rimase incredulo di fronte a una parsimoniosa disponibilità di fogli di carta: in febbrili anni di ragionamenti riportò in soli quattro quaderni misteri matematici in parte ancora insoluti, come la dimostrazione dell’eguaglianza tra la somma infinita di numeri interi e -1/12. La cultura per secoli, come ha dimostrato Carlo Maria Cipolla, è stata la merce più cara: un libro nel XVI secolo costava come due mucche, pari alla vita di una famiglia per anni. Oggi pretendiamo che sia gratis perché lo spazio della Rete è «infinito». Ma ciò che rendeva immortali i libri non era la quantità di carta, ma le parole. Ogni tanto vale la pena rifletterci.