Fonte: Corriere della Sera
di Francesco Daveri
Proprio nel giorno in cui arrivano i primi dati (molto negativi per la Cina) le borse cinese e americana recuperano, ma quelle dell’Unione mancano all’appello
Dopo i peggiori sette giorni dai tempi del fallimento di Lehman Brothers, la settimana borsistica è cominciata con rimbalzi significativi. Sui due lati dell’Oceano Pacifico si è visto un +3,2% a Shanghai e dopo poche ore sono arrivati guadagni nell’ordine del 3% anche a Wall Street. La giornata è stata più tormentata in Europa dove le borse europee hanno chiuso vicino alla parità, con l’Italia ancora in rosso. Da questi pochi numeri sembra arrivare un segno, un dito puntato sull’area del mondo nella quale — a ragione o a torto — chi compra e vende titoli tutti i giorni individua l’esistenza di un problema, cioè l’Europa. Un’Europa dove i governi sono divisi, incapaci di reagire in modo comune a questa nuova sfida globale.
Le differenze negli andamenti delle borse non vengono tanto dalle attese sugli andamenti della congiuntura. Come mostrano i valori dell’indice Pmi per il global manufacturing di JPMorgan — un termometro preciso e puntuale di come vanno le economie — nel mese di febbraio si è registrato un netto e rapido indebolimento della congiuntura mondiale. Il calo è stato particolarmente sensibile in Cina, la fabbrica manifatturiera del mondo, dove il valore dell’indice è sceso al valore di 35,7, dieci punti in meno delle attese già pessimistiche degli analisti e il numero più basso da quando si calcola questo indice per il Paese del Dragone (un valore del Pmi vicino a 50 vuol dire crescita zero; un valore di 35 significa un «profondo rosso» nei dati di produzione industriale). Ma il valore del Pmi è sceso anche in America (pur rimanendo in un intervallo di valori che fanno pensare a una continuazione — sia pure rallentata — della crescita) e in Europa dove le interviste ai manager hanno dato risultati e valori coerenti con una crescita vicina allo zero. Con il coronavirus forse non si va verso una recessione globale generalizzata ma poco ci manca.
Eppure, proprio nel giorno in cui — dopo tante congetture — arrivano i primi dati e sono molto negativi per la Cina e per il suo settore trainante la borsa cinese e quella americana riescono a suonare la riscossa sui mercati, mentre quelle europee mancano all’appello. Perché la debole congiuntura economica pesa per l’Europa e non per gli altri? Sembra strano ma non lo è poi tanto. Nel determinare la composizione dei portafogli degli investitori conta infatti meno l’economia e conta invece di più l’attesa che i mercati ripongono nella capacità di banche centrali e governi di fare qualcosa per contrastare la crisi. Ad esempio, sia la banca centrale cinese che quella americana hanno un ampio ventaglio di disponibilità di intervento: possono tagliare i tassi di interesse di riferimento per i mercati finanziari oppure aumentare la liquidità a disposizione delle banche (come hanno già fatto ripetutamente) o accrescere ancora il loro impegno nell’acquisto di titoli a sostegno dei mercati finanziari.
Il sentiero è più stretto in Europa dove i tassi fissati dalla Bce sono già a zero e dove l’istituto di Francoforte è già impegnato nella continuazione delle politiche di acquisto di titoli in atto da inizio 2015 e che secondo molti hanno già esplicato la maggior parte dei loro effetti positivi. I mercati che non comprano azioni europee e comprano invece quelle asiatiche ed americane esprimono questa inquietudine. Inquietudine a cui se ne affianca un’altra, anche più importante perché riguarda i governi. Quando pensano a Cina e Usa, gli investitori non hanno difficoltà a identificare obiettivi e strategie di politica economica.
Le politiche di Trump possono non piacere ma indicano una strada: prima la guerra poi la pace tariffaria con la Cina attraverso un uso spregiudicato delle minacce di imposizione di dazi. E le risposte cinesi — siano esse la Nuova Via della Seta o l’indicazione di una poco credibile continuazione della globalizzazione «come era prima» — appaiono il risultato dell’attuazione di politiche perseguite con persistenza. Nell’Europa dove i governi sono divisi su molti temi invece di giorno in giorno si registrano attacchi al sistema di Schengen, tensioni tra stati membri e i vertici Ue, oltre che maggioranze variabili all’interno di un’Unione rimasta orfana del Regno Unito. Se in Europa la politica monetaria ha esaurito le sue frecce, riesce difficile cercare nell’arco della politica europea altre frecce da usare nella competizione globale. A meno che l’Europa politica dei governi non riesca nel colpo di reni. Che ancora gli investitori non riescono a immaginare.