18 Settembre 2024

A Roma gli Stati generali. Sangiuliano: «Stiamo costruendo i mattoni dell’immaginario italiano». Rampelli: «Nessuno vuole multare chi usa l’inglese»

Nel firmamento del nascente network della destra di governo (personaggi di cinema, teatro, editoria, tv, beni culturali) chiamato a fare rete nel convegno «Pensare l’immaginario italiano/Stati generali della cultura nazionale» giganteggia l’astro di Antonio Gramsci. Tre citazioni in altrettanti discorsi. E, sul banco d’ingresso all’hotel Quirinale di Roma, in vendita pile di «L’egemonia culturale», edizioni Historica, casa editrice fondata da Francesco Giubilei, giovane e attivissimo regista del convegno, presidente della Fondazione Tatarella e di «Nazione Futura», consigliere del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Accanto a Gramsci, in spettacolare contrasto, «Fronte della Gioventù/La destra che sognava la rivoluzione. La storia mai raccontata» di Alessandro Amorese (Eclettica) e, per lo stesso editore, «Almirante, l’italiano d’Italia» di Gigi Montonato. Poi Benedetto Croce, Vincenzo Gioberti, Giuseppe Prezzolini, Umberto Boccioni e anche Alessandro Sallusti.
Salone strapieno per l’intervento più atteso, quello di Sangiuliano: «L’immaginario italiano è la rivendicazione della nostra identità, del nostro passato ma anche la costruzione del futuro, una sorta di Dna della nazione, noi stiamo costruendo i mattoni dell’immaginario italiano acquisendo allo Stato, con Alessandro Giuli ora presidente del Maxxi, Casa Balla a Roma, progettando il raddoppio del museo Archeologico a Napoli con l’Albergo dei Poveri. A giugno, per la prima volta agli Uffizi, ci sarà una mostra sulle avanguardie del primo ‘900». Ed ecco Gramsci: «La bellezza non basta: ci vuole un contenuto umano e morale che sia l’espressione elaborata e compiuta delle aspirazioni del pubblico». Poi ricorda che furono dei «solidi conservatori come Soffici, Prezzolini e Papini a guardare avanti e a organizzare nel 1910 la prima mostra degli impressionisti francesi a Firenze facendo scoprire in Italia Manet, Degas, Cézanne».
Gramsci è citato anche da Federico Mollicone, FdI, presidente della commissione Cultura della Camera: «Giusto puntare all’egemonia culturale ma a patto di non perdere quella politica, l’errore della sinistra. La nostra sarà una rivoluzione dolce, una sintesi e non un’egemonia, facciamo tutti parte della comunità italiana». Lancia un messaggio chiaro al mondo dello spettacolo legato alla sinistra: «Il Fondo unico dello spettacolo non esiste più, ora c’è il Fondo nazionale dello spettacolo: nuove regole e nuove commissioni di valutazioni».
Giampaolo Rossi, onnipresente nel totonomine ai vertici Rai, chiede per la tv pubblica «l’egemonia della libertà». Gramsci anche per Giubilei che ne cita la capacità di organizzazione culturale e attacca il retaggio del ’68: «Risposta sbagliata a istanze giuste, ha creato una cultura dell’uno vale uno, antimeritocratica, di egualitarismo al basso». Fabio Rampelli rivendica la bontà della sua proposta di legge sulla lingua italiana: «La lingua non è di destra o di sinistra, è la lingua madre, in Europa è difesa da 18 nazioni su 27, nessuno vuole multare chi usa l’inglese». Ma poco prima Lorenzo Maggi di «Lodi Liberale» era stato chiaro: «L’inglese non va punito né vietato ma studiato di più dai ragazzi. E sempre per i giovani vanno liberalizzate le concessioni balneari».
La miriade di interventi svela anche malesseri. Il regista Luciano Cannito attacca «le governance dei grandi enti lirici italiani tutte occupate da manager stranieri, un caso unico di colonialismo in Europa». Il sottosegretario alla Cultura, con delega allo Spettacolo, Gianmarco Mazzi, rincara: «Una realtà che non risponde al nostro interesse nazionale, come se non esistessero professionisti italiani capaci di rivestire quei ruoli». Verso la chiusura grandi risate con Federico Palmaroli, alias Osho, definito nella presentazione «un neo-futurista, quasi un Marinetti dei nostri tempi» che rilegge sullo schermo recenti vignette di gran successo. Una tra tutte, Franceschini e Letta a Pompei. E Franceschini: «Qui ‘na vorta era tutto Pd». Applausi fragorosi.

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