Fonte: Corriere della Sera
di Angelo Banebianco
Nel contesto attuale una nuova formazione politica servirebbe a dare stabilità alla democrazia, ma la sua creazione potrebbe tardare troppo ad affermarsi
Sistemi politici maggioritari funzionano al meglio quando in essi prevale una dinamica bipolare (destra contro sinistra). I sistemi politici di tipo proporzionale, invece, hanno bisogno — soprattutto quando sono molto intense le contrapposizioni ideologiche — di un partito di centro, o un raggruppamento di partiti di centro, in grado di assicurare stabilità tenendo a bada le formazioni estremiste. Dopo un lungo viaggio nei territori del maggioritario, durato per oltre vent’anni, l’Italia è tornata, come nel gioco dell’Oca, alla casella di partenza. Abbiamo oggi, a livello nazionale,
un sistema elettorale formalmente misto (incentiva gli apparentamenti nei residui, sopravvissuti, collegi uninominali) nel quale, però, la logica prevalente è proporzionale. Come nell’epoca, detta della Prima Repubblica, che va
dal 1948 ai primi anni Novanta del secolo scorso. Ma c’è una fondamentale differenza: allora esisteva il partito di centro (la Democrazia cristiana)
o un raggruppamento di partiti di centro (Dc più alleati) mentre, al momento, un siffatto partito/raggruppamento manca all’appello.
In altri termini, non c’è stata ancora quella scomposizione delle forze esistenti necessaria per permettere al partito di centro di costituirsi. Forse, le elezioni europee funzioneranno da banco di prova. Poniamo che, ad urne chiuse, la somma dei voti di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia risulti inferiore al cinquantuno per cento. Il che accadrà se, come è possibile e forse probabile, la Lega otterrà meno voti di quelli che le assegnano oggi i sondaggi. In tal caso, che cosa penserebbero molti? Penserebbero che se si votasse per le politiche, ancora una volta, come dopo il 4 marzo dello scorso anno, il centrodestra non avrebbe in Parlamento la maggioranza dei seggi necessaria per formare il governo. Di nuovo (come è tipico dei regimi proporzionali e come è accaduto dopo le elezioni precedenti), la maggioranza di governo dovrebbe nascere da contrattazioni tra i partiti rappresentati in Parlamento.
In tale scenario, è allora possibile che, per scongiurare la prospettiva di un 4 marzo bis, si manifestino, all’interno di alcuni dei partiti esistenti — e, segnatamente, Partito democratico e Forza Italia —, spinte centrifughe e scissioni in vista della (ri)formazione di un «centro» che possa risultare elettoralmente competitivo nei confronti delle estreme (Lega e 5 Stelle). Tanto Forza Italia quanto il Partito democratico sono formazioni sorte in epoca di maggioritario, l’epoca dominata dalla contrapposizione fra centrodestra e centrosinistra. Il ritorno alla proporzionale, relegando a un ruolo secondario quella contrapposizione, rende anche improbabile che Forza Italia e Pd possano sopravvivere a lungo conservando inalterati i loro attuali assetti.
Naturalmente, dire che un sistema politico di tipo proporzionale e nel quale siano forti le formazioni estremiste, funzioni al meglio solo c’è un centro, non significa dire che il centro si ricostituirà sicuramente. Servirebbe a stabilizzare la democrazia ma non c’è alcuna garanzia che si formi o che possa avere successo. Per due ragioni. La prima è che qualunque formazione politica — e quindi anche l’eventuale partito di centro — può essere competitiva solo se al suo interno si afferma una chiara e netta gerarchia del comando, ossia una leadership forte in grado di imporsi sul partito nel suo complesso. Ma nel possibile nuovo partito di centro, per quel che oggi si può capire, una simile leadership faticherebbe ad affermarsi. Presumibilmente, non emergerebbe (o non emergerebbe subito) un De Gasperi. Invece, nella sua dirigenza si ritroverebbero probabilmente diverse persone (alcune anche di qualità) senza che nessuna di loro possa imporsi come leader indiscusso. E questo sarebbe, per la suddetta neonata formazione di centro, un grave svantaggio.
Ma c’è anche una seconda ragione che rende difficoltosa la formazione di un partito di centro. Riguarda tempi e sequenze. La sua creazione potrebbe richiedere molto più tempo di quello di cui dispone la democrazia italiana per darsi un nuovo equilibrio, per ritrovare stabilità. Il passaggio al maggioritario e la contestuale distruzione dell’allora partito di centro richiesero un lungo periodo, a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo, di logoramento di quel partito, a cui seguì un’accelerazione improvvisa dovuta alla fine della Guerra fredda e alla «rivoluzione giudiziaria» (Mani pulite) dei primi anni Novanta. Si pensi che i primi vagiti di quel movimento che poi portò alla affermazione del maggioritario risalgono alla metà degli anni Ottanta grazie all’intuizione e all’opera di politici lungimiranti come Marco Pannella e Mario Segni (la Lega per l’uninominale nasce nel 1986). Ciò per dire che i tempi che servono alla maturazione di nuovi equilibri politici possono essere molto lunghi. Ma tenuto conto di quanto accelerati siano oggi i cambiamenti nel contesto internazionale (declino dei rapporti interatlantici, crisi dell’Unione europea, pressioni degli imperialismi russo e cinese, minacce dal Medio Oriente) ciò che occorre alla democrazia italiana per ritrovare stabilità, ossia un nuovo centro politico, potrebbe tardare troppo ad affermarsi.
I generali che predispongono piani per la futura guerra immaginando che sarà simile alla precedente, regolarmente scoprono, quando la guerra scoppia, che essa è un’altra cosa e che quei piani non servono a nulla. Analogamente, coloro che immaginano che quella attuale sia solo una parentesi e che presto la politica italiana tornerà a essere la solita faccenda (di centrodestra contro centrosinistra) potrebbero non avere compreso che cosa sia davvero accaduto.