Dalla grande alluvione del maggio 2023 agli imprenditori è stata risarcita una minima parte dei danni subiti. E c’è già chi getta la spugna nei campi

«Questa alluvione è peggio di quella del 2023: allora era maggio, si andava verso l’estate e i terreni si sono asciugati. Ora, invece, resterà tutto bagnato fino a dicembre. E come si fa a seminare?». Giordano Alpi, 60 anni e 30 ettari di terra dalle parti di Imola, in un anno e mezzo è andato sott’acqua ormai quattro volte. La prima con la grande alluvione della Romagna dell’anno scorso, l’ultima domenica scorsa. In mezzo, ci sono rabbia e rassegnazione. E tra domani e venerdì è prevista altra pioggia.
Dei suoi 30 ettari coltivati a pesche, albicocche, pere e uva, 15 si trovano a ridosso del torrente Sillaro: «Almeno tre ettari e mezzo domenica sono finiti sotto due metri di acqua, non si vedono nemmeno le punte delle viti – racconta Alpi – finora avevo fatto il 20% della vendemmia, temo che su 3mila quintali di uva trebbiano perderò tra il 20 e il 30%». A Imola sono vent’anni che gli agricoltori fanno segnalazioni per la manutenzione dei fiumi: «Da me dopo il 2023 hanno pulito anche bene – dice Alpi – ma per mettere i territori in sicurezza ci volevano lavori d’urgenza con leggi d’urgenza: i progetti ordinari, così come gli appalti ordinari, richiedono anni».
La Coldiretti calcola che con quest’ultima ondata di maltempo decine di migliaia di ettari sono stati invasi dall’acqua e dal fango, con danni alle produzioni di frutta, ortaggi, mais, barbabietole da zucchero, cereali, frutteti e vigneti. «E poi c’è ansia – dice Alpi – tanta ansia per quello che può capitare di nuovo. A Traversara e Cotignola qualche agricoltore ha già cominciato a gettare la spugna, e anche qui da noi qualcuno ci pensa, soprattutto in collina dove ci sono le frane». Ma i risarcimenti? «Su 120mila euro di danni – dice – finora ho recuperato solo l’8%».
Anche Isacco Minarelli, 200 ettari a Vedrana di Budrio vicino a Bologna, di indennizzi ha avuto poco: «Rispetto a 350mila euro di danni, tutti periziati, ne ho ricevuti 60mila». Quarantatrè anni, socio della cooperativa Patfrut, Minarelli è stato colpito dalla furia del torrente Idice già quattro volte: la prima rottura degli argini è stata nel 2019, poi c’è stata la grande alluvione del maggio 2023, poi di nuovo un mese fa e infine domenica: «Stavolta è andata meglio – racconta – l’acqua dai campi è andata via in un giorno. Ma il mese scorso tutte le barbabietole da zucchero sono marcite». La porzione di argine dell’Idice invece è sempre lì, ancora da riparare. Ad andarsene, però, non ci pensa proprio: «In questi terreni ho investito parecchio, tra affitti e mutuo ancora da pagare – dice – pianterò grano, che è quello che comporta meno spese. Non posso permettermi di investire ancora 11mila euro a ettaro, come ho fatto finora»
Gli agricoltori sono stanchi, chiedono interventi strutturali, seri. E in fretta. Se ne occuperebbero volentieri con le loro mani, di ripulire i letti dei fiumi, se solo la legge glielo permettesse ancora come un tempo. Ma oggi è vietato. E tra chi coltiva i campi ogni giorno monta l’angoscia per quel che può succedere il giorno dopo. «Gli agricoltori così non possono più andare avanti e men che meno programmare il futuro – sostiene il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini – molte delle aziende colpite dalla nuova ondata di maltempo non hanno nemmeno finito di anticipare le spese per i danni di precedenti eventi catastrofali quali gelate, trombe d’aria, allagamenti e fenomeni franosi».

A.N.D.E.
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