Le condizioni finanziarie degli Stati Uniti non sembrano incorporare ancora tutte le conseguenze della stretta, rapida e incisiva
Altri 25 punti base nella riunione di febbraio. Fino al 4,50-4,75%. Altri due entro fine anno, molto probabilmente nei due successivi meeting del Fomc, il comitato di politica monetaria della Federal reserve. La strada, almeno in un orizzonte temporale limitato, sembra segnata, ma i mercati si interrogano su quale sarà davvero il punto di arrivo della stretta Usa. A dicembre la mediana del “dots” puntava al 5-5.25% – dall’attuale 4,25-4,50%, ma i dubbi restano (e anche qualche speranza).
Direzione non univoca
Qualcosa si sta muovendo, infatti, nell’economia americana, ma non è chiaro in quale direzione possa spingere la politica monetaria che – con una scelta dettata dall’incertezza, ma che alimenta incertezza – ha deciso di muoversi “un passo dopo l’altro” sulla base dei dati. Sicuramente la stretta è stata lunga, la nuova fase sembra caratterizzata dall’obiettivo di raggiungere, a ritmi non necessariamente serrati, il tasso terminale e di mantenersi a quel livello per il tempo necessario. La base monetaria – la “moneta della banca centrale” – e l’offerta di moneta (M1) hanno cominciato non a caso a calare.I segnali che arrivano dall’economia non sono però univoci.
Inflazione alta ma in calo
Ha particolarmente colpito la flessione dell’inflazione: l’indice Pce (Personal consumption expenditures), che è l’indice di riferimento della Fed: è calato lungo tutto il quarto trimestre del 2022, e così anche l’indice core, sul quale l’indice complessivo tende a convergere. Molti analisti sottolineano però, correttamente, che la flessione può essere temporanea e, soprattutto, che contano più le aspettative di inflazione che l’andamento ormai archiviato dei prezzi (che possono incidere sulle attese di brevissimo periodo e non sono quindi del tutto irrilevanti). Quelle di lungo periodo sono ormai stabilizzate, malgrado un leggerissimo rialzo verso quota 2,3%, ma segnalano ancora una Fed molto credibile sui mercati.
Condizioni finanziarie in controtendenza
A stupire è il fatto che le condizioni finanziarie non sembrano volersi muovere in sincronia con la manovra restrittiva. L’indice della Fed di Chicago, che riassume oltre 100 indicatori lungo tutta la cinghia di trasmissione – ma è fuorviante chiamarla così – della politica monetaria, si è allontanata da quota zero, che separa l’area di restrizione monetaria da quella di accomodamento. Sarebbe stato verosimile, dopo una stretta così rapida e incisiva, un ritorno a valori positivi ma l’indicatore dopo essersi avvicinata a fine ottobre alla soglia critica, se ne è successivamente allontanata. Si potrebbe pensare che i mercati – compresi quelli creditizi, non solo quelli finanziari in senso stretto – non abbiano ancora del tutto preso atto della stretta.
In calo i rendimenti a lungo termine
Anche a monte della cinghia di trasmissione i segnali non sono esattamente coerenti con le mosse della Fed. I rendimenti dei titoli di Stato appaiono sicuramente più alti rispetto al passato per la parte a breve della curva, quella che riflette e realizza la politica monetaria, ma è decisamente più bassa per tutta la porzione successiva a un anno. È l’effetto di aspettative di inflazione meno elevate? di una possibile recessione (le probabilità a un anno sono salite al 63,28%)? Soprattutto: è l’andamento che la Fed desidera? Saranno interessante, su questo punto, le parole di Jerome Powell in conferenza stampa.
In flessione il cambio effettivo
Anche il cambio effettivo del dollaro dà un segnale inatteso. Dopo i massimi di inizio novembre, ha iniziato una fase discendente relativamente rapida. Il dollaro non è un obiettivo della politica monetaria e il suo andamento dipende da molti, troppi fattori, a cominciare dall’orientamento monetario dei paesi partner. La sua flessione non può però non incidere sulla valutazione complessiva delle condizioni finanziarie.
In attesa dei dati di occupazione
I mercati sono anche in fervida attesa dei dati sull’occupazione, che però saranno rivelati dopo la riunione di politica monetaria. A definire l’inflazione futura, e quindi l’orientamento della Fed, concorrono soprattutto le aspettative che si trasferiscono su prezzi e salari, e l’andamento delle retribuzioni, già surriscaldate da fattori strutturali, potrebbe spingere la banca centrale a mantenere alta la guardia, e magari rivedere il suo tasso terminale. Il vero timore degli investitori.