19 Settembre 2024

Di fronte alla legge della «geopolitica», che cosa volete che importi che il 73% degli ucraini abbiano votato per Zelensky presidente, consentendogli di battere il rivale filo-russo perfino in molte zone oggi dette «russofone»?

Inumerosi pensatori che tentano di convincere gli italiani ad abbandonare l’Ucraina al suo destino, in nome della pace, del buon senso o del quieto vivere, sono
affetti da anacronismo. Sembrano nuovi «cold warrior»: si muovono cioè negli schemi mentali di una Guerra Fredda che è finita da 31 anni. Il loro ragionamento, quello che fa più presa sul grande pubblico perché intriso di apparente «realismo», è il seguente: il mondo e l’Europa sono divisi in «blocchi» (termine tornato di moda). Ciò che sta di qua, in prossimità geografica e culturale con la Russia, spetta dunque alla Russia. Noi che stiamo di là, e che siamo «satelliti» della potenza americana quanto l’Ucraina lo è della Russia, non dobbiamo impicciarci. Altrimenti scoppia la Terza Guerra Mondiale. E infatti corredano quest’analisi con cartine geografiche pre-1991, per mostrare come sia oggi accerchiata dalla Nato una potenza russa che allora invece arrivava, col Patto di Varsavia, fino ai confini dell’Austria.
Solo in virtù di questo anacronismo — analizzare l’oggi con gli strumenti del passato — si può comprendere come essi possano accettare che una potenza militare, insoddisfatta del governo di un Paese vicino e delle sue politiche, decida di cambiarlo con un’invasione. È esattamente ciò che succedeva nella Guerra Fredda, in Ungheria nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1968, in Polonia nel 1980: i carri armati cambiavano i governi, e l’Occidente non poteva farci niente.
Nelle loro teste, solo in qualche caso davvero addestrate alla politica internazionale, il più delle volte provenienti dai più disparati campi della sociologia e della filosofia, del sindacalismo e del giornalismo, c’è ancora un Muro a dividere l’Europa. La scomparsa dell’Urss non è stata per loro l’inevitabile esito di una sconfitta storica, ma «la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo» (secondo le parole dello stesso Putin). E non tanto perché abbia messo fine al comunismo, che ormai quasi nessuno difende più. Ma perché ha eliminato il contrappeso dell’imperialismo russo che teneva i piedi l’equilibrio del terrore con gli Usa, e garantiva a noi la pace (il punto di vista dei popoli che erano rimasti «di là», sotto il tallone russo, è di solito trascurato).
In quest’ottica il motore della storia è solo la forza, il potere, la geografia. La stessa democrazia si riduce a mera finzione. Di fronte alla legge della «geopolitica», che cosa volete che importi che il 73% degli ucraini abbiano votato per Zelensky presidente, consentendogli di battere il rivale filo-russo perfino in molte zone oggi dette «russofone»? Perché mai un semplice successo elettorale gli darebbe il diritto di cambiare il corso della storia, dove il posto degli ucraini è assegnato da secoli e il destino di sottomissione alla Russia è immutabile? E ora, perché non cede alle richieste di Mosca, che vuole solo «riprendersi l’Ucraina» (altra affermazione frequente), e non cede invece territori e indipendenza, privandosi di quello che nel resto del mondo si chiama «sovranità» e che distingue uno Stato da una colonia?
Come tutti gli anacronismi, però, quest’idea del mondo non corrisponde alla realtà. Non che la geopolitica non conti più. Ma intanto è cambiata: la potenza russa, narrata spesso in tv con gridolini estasiati di ammirazione («Putin può sventrare l’Ucraina come e quando vuole») non è più quella di una volta. Uscita sconfitta dalla Guerra Fredda, la Russia è un Paese in declino, economico e demografico. E non è più «l’altra superpotenza», avendo perso il posto a vantaggio della Cina.
Soprattutto, è cambiato il mondo. Quando è finito l’impero sovietico, e sia la Federazione Russa sia l’Ucraina, insieme, contemporaneamente e di comune accordo, sono diventati due Stati indipendenti, non esisteva ancora Facebook, Google era appena nata, Twitter e Instagram erano al di là da venire, come i droni, l’e-commerce e le auto elettriche. Soprattutto non esisteva ancora l’Unione Europea, fondata a Maastricht proprio l’anno dopo. Questo nuovo mondo, con tutti i suoi limiti e difetti, ma fatto di pace e consumi, democrazia e benessere, ha cambiato anche gli uomini. Popoli che secondo i nostri «professori della resa» dovrebbero starsene buoni buoni di là, vogliono venire di qua, perché con i telefonini e con la testa sono già di qua. L’Europa stessa, che appare a noi deludente e prosaica, per loro è invece un polo di attrazione, la speranza di un futuro diverso, un sogno cui hanno diritto ad ambire. Non credo sia un caso se i più anti-europei in Europa siano di solito anche i più filo-Putin: democrazia e autocrazia si escludono, e gli ucraini lo sanno benissimo.
Guai a credere che la storia sia fatta solo dai rapporti di forza. Parlando alla radio dopo che l’invincibile macchina bellica nazista aveva invaso l’Urss nel 1941, Stalin disse: «La storia insegna che non vi sono Stati e non vi sono eserciti invincibili». Su che basava la sua convinzione, dimostratasi poi esatta? Sul fattore umano; sul patriottismo del suo popolo; sulla determinazione della sua nazione. Il nazionalismo ucraino ha forse una data di nascita più recente. Ma è molto probabile che essa corrisponda con l’invasione russa della Crimea e del Donbass nel 2014. Da allora anche il popolo ucraino è cambiato. E vedendolo resistere con tanta dignità e sofferenza, torna in mente la risposta che un vecchio bolscevico dà a una famiglia di russi in Stalingrado, il nuovo romanzo di Vassilij Grossman. Come sarà possibile fermare un così formidabile nemico, gli chiedono; e lui replica paragonando l’invasore al gigante Anteo del mito greco: «Quando questo finto Anteo avanza sulla terra che vorrebbe conquistare la sua forza non aumenta a ogni passo, come succede al vero Anteo, ma diminuisce. Non è lui che assorbe forza dalla terra, ma è la terra, a lui ostile, che gliela sottrae finché, stremato, Anteo si schianterà al suolo». Mai sottovalutare il fattore umano.

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