24 Novembre 2024
Francia Macron

Francia Macron

Più che una strada per il futuro, ora il presidente ha davanti una strettoia lungo la quale tentare di far passare i disegni di legge sulla giustizia e l’immigrazione

La Rivoluzione francese, quella con il taglio delle teste, è andata in scena una volta sola, ma i francesi amano il remake. Una volta sono i gilet gialli a infiammare le piazze. Un’altra volta le periferie. Da settimane, i sindacati, con supporto di studenti, intellettuali e movimenti. Ieri, il remake è andato in scena all’Assemblea, con deputati di destra e di sinistra impegnati — al canto della Marsigliese — nel tiro incrociato contro il governo. La rivoluzione si fa ancora una volta contro ricorrenti propositi di riforme, in primis quella delle pensioni. A turno, sono rimasti impantanati nel remake tutti gli ultimi presidenti: ieri Chirac, Sarkozy, Hollande e oggi Macron. Il copione è sempre lo stesso: il popolo contro il re, la piazza contro il palazzo, che sia Versailles o l’Eliseo. E in fondo è questo il limite della Repubblica presidenziale, che a volte si rivela un decisionismo zoppo e impotente.
Benché complessa, la spiegazione si riduce al forte attaccamento dei francesi a un’idea di Stato sociale protettore ed erogatore di servizi, anche se il prezzo in termini di tassazione e debito pubblico è molto alto. E questo, nella storia della Quinta Repubblica, prescinde dal colore politico del momento. Tuttavia, il remake sembra riservare uno sbocco a sorpresa. Basta non fermarsi alle ultime scene: la guerriglia nelle piazze, l’Assemblea nazionale esautorata, ieri le mozioni di censura che forse preludono al sacrificio del primo ministro, Elisabeth Borne, il «fusibile» da offrire al popolo perché il presidente tenga comunque la rotta in un mare tempestoso. Il fatto che la mozione non abbia ottenuto la maggioranza assoluta per un pugno di voti, dimostra quanto la posizione del primo ministro sia debolissima e quanto sia profonda la crisi politica e istituzionale. Ci sono però due sostanziali novità.
La prima riguarda Macron. Dato in perdita di consensi e isolato dal Paese (e anche questa non è una novità rispetto ai predecessori), è deciso a guardare alla Storia più che alla legislatura. Per mentalità e calcolo, nel chiuso dell’Eliseo, è un po’ padrone del suo tempo. In altre parole, non potendo correre per un terzo mandato, Macron ha voluto passare in forze, offrendo ai francesi «l’interesse supremo del Paese» e la tenuta del sistema pensionistico, impossibile con le regole attuali e anacronistico rispetto ai sistemi pensionistici europei. Il presidente non avrebbe voluto arrivare a questo, ma ha preferito questa momentanea, fragilissima, vittoria al rischio più elevato di una sconfitta in aula.
La seconda rimanda al quadro politico. Macron ha perso la maggioranza alle ultime elezioni, ma due opposizioni forti (l’estrema destra e l’estrema sinistra) non fanno una maggioranza alternativa, nonostante la caotica messa in scena in un’Assemblea infuocata. Al di là della sorte di Elisabeth Borne, il presidente farà di tutto per non interrompere la legislatura e cercherà di allargare la propria maggioranza ai Repubblicani.
L’ex partito della destra moderata e gollista si è rivelato inaffidabile come ruota di scorta (il che ha spinto Macron a evitare il voto in aula sulla riforma), ma non ha alcun interesse allo scioglimento dell’Assemblea: sarebbe stritolato dall’estrema destra di Marine Le Pen, ovviamente la più favorevole alle urne.
Più che una strada per il futuro, è dunque una strettoia, lungo la quale tentare di far passare altri importanti disegni di legge, dalla riforma della giustizia al pacchetto immigrazione. Ma, allo stato attuale, Macron non ha alternative percorribili.
Ci sono infine, fuori copione, le alchimie della politica che potrebbero prospettare una soluzione gattopardesca, il contrario della rivoluzione. La riforma deve passare al vaglio del Consiglio costituzionale che potrebbe rinviare il testo alle Camere, offrendo qualche cavillo per rimettere tutto in discussione e ricercare quei compromessi al ribasso rimasti nel limbo delle buone intenzioni. Nel frattempo, l’Eliseo spera che la protesta si sgonfi e la riforma, benché annacquata, alla fine vada in porto. Fino al prossimo remake.

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