Fonte: Corriere della Sera
di Angelo Panebianco
L’agenda politica sarà dominata dal tema della riforma elettorale sia che il governo duri fino alla scelta del Capo dello Stato sia che si vada prima al voto
Primo scenario. Il governo dura fino all’elezione del Presidente della Repubblica. Non importa quanto pasticciata e conflittuale appaia la sua navigazione. Gli osservatori ogni giorno dicono: «Sta per cadere, cade, cadrà prestissimo» ma il governo, come un bravo equilibrista sul filo che collega due grattacieli, continua per la sua strada. Magari aiutato da un’eventuale vittoria del Pd nelle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna del gennaio prossimo. Aiutato anche dal fatto che la riforma che ha ridotto i parlamentari è un potente «stabilizzatore» della legislatura: le elezioni, quando ci saranno, manderanno a casa tanti deputati e senatori. Molti, comprensibilmente, vogliono rinviare quel momento. Inoltre, è necessaria una nuova legge elettorale ma, siccome varata la legge, sarebbe difficile non andare subito a elezioni, allora si farà di tutto per «allungare il brodo», per ritardare l’intervento sul metodo di voto.
Secondo scenario. All’inizio del prossimo anno ci sarà la decisione della Corte costituzionale sull’ammissibilità o meno del referendum leghista volto a dare all’Italia un maggioritario a un turno. Se la Corte sceglierà l’ammissibilità ci sarà un parapiglia. Anche perché diversi avversari di Salvini non potranno non dichiararsi favorevoli al maggioritario: ne deriveranno panico, gazzarra, caos. Probabilmente ci saranno subito le elezioni allo scopo di rinviare di un anno il referendum.
Terzo scenario. La Corte sceglie l’inammissibilità e il Parlamento trasforma subito il proporzionale «impuro» oggi vigente (che è un sistema misto: proporzionale più una quota di collegi uninominali) in un proporzionale puro. Dopo di che si va al voto. Ma non è un’ipotesi molto realistica. I tre scenari hanno una cosa in comune: l’agenda politica sarà comunque dominata dal tema della riforma elettorale.
L’alternativa che potremmo avere di fronte è dunque fra due, e soltanto due, metodi elettorali: il sistema maggioritario a un turno (referendum leghista) oppure un sistema proporzionale puro o quasi (ossia, con una clausola di sbarramento bassa). Per inciso, non fatevi ingannare da chi dirà che ci vuole sì un sistema proporzionale ma con una clausola di esclusione alta, di tipo tedesco. Quando si arriverà al dunque, di mediazione in mediazione, si dovranno accontentare i «cespugli», i gruppi minori, allergici al sistema tedesco. Se questa è l’alternativa, bisogna tenere conto di alcuni fatti accertati. Il primo è stato richiamato da Maurizio Ferrera (Corriere, 30 ottobre ): la stabilità della democrazia richiede la presenza di un folto elettorato centrista o comunque attirato da formazioni politiche centriste. Se, come in Italia oggi, l’elettorato di centro appare ridotto e disperso (manca un’offerta politica che possa aggregarlo) mentre sono forti le estreme, allora la democrazia è nei guai. Il primo punto da fissare è questo: se non ci sono canali per favorire la convergenza al centro di una parte ampia dell’elettorato, non c’è stabilità della democrazia, quale che sia il sistema elettorale adottato. Se c’è il proporzionale ma manca un partito centrista capace di attrarre tanti elettori, la democrazia è a rischio. Se c’è una legge maggioritaria, la quale favorisce una competizione fra due schieramenti, non può esserci stabilità se i due schieramenti non convergono al centro o se, quanto meno, nello schieramento vincente l’ala più moderata non riesca a bilanciare quella più estrema.
Dunque, se nel nostro futuro c’è il proporzionale allora bisogna sperare che nasca un forte partito di centro. Ma, ovviamente, non ci sono garanzie. Ricordiamo comunque quali mali si porta dietro il proporzionale (già oggi visibili). Il male principale è l’immobilismo. Non c’è sintesi politica possibile: ciascuno resta inchiodato nella difesa degli interessi e delle idee della più o meno ristretta frazione di elettori di cui ha bisogno per essere rieletto. Non è neppure possibile favorire convergenze aperte fra maggioranza e opposizione su questioni vitali nelle quali la convergenza sarebbe necessaria. Per esempio, in regime di proporzionale non è possibile costruire una seria politica dell’immigrazione: lo scontro insensato fra chi dice «chiudiamo le frontiere» e chi dice «accoglienza, accoglienza» non può cessare mai, perché in regime di proporzionale bisogna preoccuparsi solo del proprio orticello elettorale e si viene ricattati dai più insensati fra coloro che lo occupano.
Sappiamo qualcosa anche sul sistema maggioritario. Come si è detto, funziona al meglio se nello schieramento vincente prevale la moderazione e, con essa, la capacità di attrarre elettori centristi. Quindi, molti dicono, bisogna respingere la riforma maggioritaria oggi propugnata dalla Lega. Una vittoria dello schieramento di destra penalizzerebbe la (ormai debole) ala moderata a favore delle componenti estreme. Non fa una grinza? No, di grinze ce ne sono, e parecchie. In primo luogo, bisogna ricordare che chi propone un sistema elettorale che, apparentemente, gli conviene, fa spesso la fine di chi andò per suonare e venne suonato. In secondo luogo, si deve sapere che i comportamenti degli attori politici e, per conseguenza, i comportamenti degli elettori, cambiano quando cambiano le regole elettorali, e tanto più radicalmente quanto più radicale è la riforma di quelle regole. Nuovo sistema elettorale, nuovo gioco. In terzo luogo, si consideri che con il ritorno del maggioritario accadrebbero probabilmente due cose: da un lato, lo schieramento anti-destra dovrebbe cercarsi un leader all’altezza, capace di renderlo competitivo nei confronti degli avversari; dall’altro lato, Salvini, leader dello schieramento di destra, sarebbe costretto, dalla ferrea logica maggioritaria, a moderare notevolmente il proprio messaggio. Chi, fra gli avversari di Salvini, pensa che si possa sostenere una legge maggioritaria solo nel caso in cui prima sia emersa una leadership energica, moderata e unificante, forse non ha capito quale sia la corretta sequenza causale (prima la legge e poi la leadership). Sarebbe davvero un bel parapiglia.