Fonte: Corriere della Sera
di Angelo Panebianco
Alcune di asserzioni false appartengono alla categoria «come imbrogliare i giovani». La più spudorata è quella secondo cui avremmo in Italia «pochi laureati». Detta così è una bugia
A dimostrazione del fatto che le fake news non sono una invenzione recente, possiamo identificare una serie di asserzioni false che, a volte da decenni, vengono riproposte continuamente di fronte al pubblico. Queste falsità sono diventate luoghi comuni, acriticamente assunti come veri. Sono, almeno in parte, frutto di automatismi mentali, di cortocircuiti cognitivi. Per lo più, le asserzioni false circolano per una combinazione di interessi (qualcuno ha interesse a che il falso venga creduto vero) di chi le ribadisce e della pigrizia mentale di chi le ascolta. Faccio alcuni esempi scelti per la loro persistenza e per gli effetti negativi che tali falsità esercitano sulla nostra vita pubblica. Se ne potrebbero scegliere anche altri. Alcune di queste asserzioni false appartengono alla categoria «come imbrogliare i giovani». La più spudorata è quella secondo cui avremmo in Italia «pochi laureati». Detta così è una bugia. Abbiamo troppi laureati in giurisprudenza e troppo pochi laureati in fisica. Più in generale: troppi laureati in materie umanistiche, e in scienze umane, e pochi laureati nelle scienze hard. Questa distorsione penalizza i giovani laureati alla ricerca di una prima occupazione. Per eliminare la distorsione bisognerebbe introdurre il numero chiuso in tutti i corsi di laurea umanistici e di scienze umane. In modo da dare agli studenti liceali una bussola per orientare le scelte future.
I più dotati in materie umanistiche sapranno che, se quella è la loro vocazione, essi dispongono di buone chance per superare lo sbarramento del numero chiuso. Gli altri, se vogliono accedere all’Università, dovranno dedicarsi con impegno, già al liceo, allo studio della matematica e delle discipline scientifiche. Avremmo allora, in prospettiva, meno laureati(ma di migliore qualità)nelle umanistiche e più laureati nelle scientifiche. Mettendo fine a una distorsione che penalizza i giovani (e,per giunta, non mette a disposizione del mondo produttivo abbastanza «capitale umano»).
Ma le autorità pubbliche, un po’ per quieto vivere, un po’ per disinteresse per il futuro dei giovani (e un po’ anche per un antico pregiudizio italico contro la formazione scientifica) continuano a raccontare che abbiamo, semplicemente, «pochi laureati». Sembra quasi che l’ideale proposto sia quello di un Paese che, un giorno, possa vantare, a ogni semaforo, un lavavetri in possesso di una laurea qualunque.
Sotto la rubrica «come imbrogliare i giovani», stanno anche altri luoghi comuni, altre falsità di uso corrente. Come quella di chi invoca «lavoro» senza mai usare la parola «crescita». Come se non fosse la crescita economica a generare lavoro. Si capisce che il lavoro a cui pensano costoro sia il lavoro improduttivo, fare buche e poi riempirle con i soldi dei contribuenti. Ancora falsità, tipiche di chi,in un Paese in accelerato declino demografico, è in realtà interessato solo a spostare risorse da impieghi produttivi (quelli che danno lavoro) alle pensioni. In omaggio all’idea che questo sia e debba restare «un Paese per vecchi» (e che i giovani si arrangino).
Ma anche chi parla di crescita non ha spesso le carte in regola. Per avere crescita bisogna fare due cose: abbassare le tasse e spezzare la cappa burocratica che blocca lo sviluppo. Chi propone di abbassare le tasse, spesso, dice la cosa giusta ma in modo sbagliato. Non si preoccupa dei vincoli. Parla come se il nostro debito pubblico non lo riguardasse. Chiunque invochi la riduzione delle tasse senza spiegare come fare tornare i conti fa promesse irrealizzabili, imbroglia gli elettori.
È interessante notare che anche chi parla di crescita e di riduzione delle tasse, poi tace a propositivo dell’altro grande ostacolo che la blocca: la «gabbia d’acciaio» burocratica che imprigiona e soffoca il Paese. Si capisce perché tace. Spezzare quella gabbia di acciaio significa scontrarsi con corporazioni burocratiche potenti e con le magistrature che le proteggono, con gruppi il cui status e i cui privilegi dipendono dalla difesa e dal mantenimento di quella gabbia.
È un altro luogo comune: gogna e pubblico ludibrio, ormai da molto tempo, colpiscono i parlamentari,i politici, da tutti conosciuti. Essi sono certamente colpevoli ma loro vera colpa non viene mai identificata per ciò che è. Essi sono colpevoli di essere diventati i reggicoda, e i cavalier serventi, di gruppi, annidati nella pubblica amministrazione e nelle magistrature di ogni tipo: gruppi che, sfruttando varie circostanze, ormai da alcuni decenni, hanno tolto il bastone del comando alla politica, si sono impadroniti di un potere decisionale che un tempo apparteneva al regime rappresentativo e ai suoi esponenti.
Da ultimo, cito una fake news che ha anch’essa conseguenze negative: di solito è utilizzata per delegittimare agli occhi del pubblico una legge elettorale appena approvata o una proposta di legge elettorale in discussione. Consiste nel pretendere di sapere, alla luce della distribuzione dei voti nelle precedenti elezioni(quando era in vigore la legge elettorale X) come voteranno gli elettori(se e quando sarà in vigore la legge elettorale Y). Peccato che ciò non sia possibile. Se cambia la legge elettorale, cambia l’offerta politica(i gruppi politici si aggregano o si disaggregano in modo diverso dal passato). E se cambia l’offerta politica cambiano le scelte degli elettori.
A differenza dei sondaggi che, se sono fatti bene, sono un’utile indicazione sugli umori del Paese nel momento della rilevazione, le proiezioni sul voto con le nuove regole a partire dal voto con le vecchie sono sbagliate per definizione. Non c’è nulla di male. Basta solo avvertire il pubblico.