19 Settembre 2024

Difficilmente il prossimo cancelliere tedesco sarà un riformatore europeo. Una coalizione «semaforo» non potrà permettersi di gestire una stringente politica fiscale in patria e consentire altrove, nella zona euro, lo sforamento di bilancio.

In attesa di vedere Olaf Scholz in veste di cancelliere, e la sua probabile coalizione insediata al governo in Germania, è meglio non lasciarsi trascinare dall’entusiasmo. In Europa si auspica che il nuovo governo sarà accomodante in materia di politica fiscale, e un forte sostenitore delle riforme del patto di stabilità. Inoltre, che la Germania si faccia promotrice del completamento dell’unione delle banche e dei mercati finanziari; che il paese saprà attuare la transizione verde e digitale e che rinuncerà, in politica estera, al suo vezzo di coccolare i dittatori per assumere il ruolo di paladino dell’autonomia strategica europea.
Si prevedono, effettivamente, nuovi investimenti, sia nel settore ecologico che digitale, ma per la maggior parte questi fondi sono destinati a colmare lacune di lunga data: l’informatizzazione della pubblica amministrazione; la manutenzione di ponti e strade, finora sacrificata sull’altare dell’austerità; la creazione di impianti di rifornimento elettrico sulle autostrade; una rete ferroviaria ad alta velocità; e l’estensione della copertura in fibra ottica. I Verdi esigono, e otterranno, un programma di investimenti da 500 miliardi di euro, spalmati sui prossimi dieci anni. A 50 miliardi di euro all’anno, questa cifra corrisponde a circa l’1,5 percento del PIL, ma non alla portata dell’espansione fiscale. Tanto per cominciare, il governo ha già stanziato altri fondi a questo scopo, tra i quali le somme provenienti dal Recovery Fund europeo. Nell’ultimo decennio, la Germania ha progressivamente esaurito, ma non azzerato, gli investimenti pubblici. Inoltre, come suggeriscono gli economisti Lars Feld e Marcel Fratzscher, il programma potrebbe essere controfinanziato da tagli alle sovvenzioni, come gli aiuti anacronistici offerti al diesel. Prevedo che la prossima coalizione tedesca continuerà a rispettare la lettera e lo spirito del freno all’indebitamento. Ciò significa che l’effetto fiscale netto di questo programma di investimenti verrà conteggiato in percentuali da punti decimali del PIL. E le cose non sarebbero molto diverse se la Germania finisse con l’essere governata da qualunque altra delle possibili coalizioni.
L’impatto principale di un programma di investimenti sarà condizionato dai miglioramenti qualitativi introdotti nelle finanze pubbliche. È meglio spendere risorse pubbliche sull’informatizzazione anziché sui sussidi al diesel. Ma un cambiamento qualitativo di tali proporzioni non avverrà di certo dalla sera alla mattina: ci vorrà del tempo. Per di più, sarà accompagnato da inevitabili contestazioni legali. Immagino che qualsiasi tentativo di introdurre una maggior flessibilità nel freno all’indebitamento, tramite lo strumento di scopo specifico, o un fondo di riserva all’interno del bilancio, verrà impugnato presso la corte costituzionale.
Quello che non cambierà, secondo le mie stime, sarà la dipendenza eccessiva della Germania dalle esportazioni di widget per la sua crescita economica, che incide su tutto quello che non funziona quando pensiamo alla politica tedesca in Europa: il perdurare dell’attuale eccedenza di bilancio; la dipendenza dalle importazioni di gas dalla Russia; la dipendenza dalla Cina per le esportazioni, al punto tale che il rapporto tra Cina e Germania rappresenta al giorno d’oggi il legame geopolitico più strategico a livello globale. Il futuro governo tedesco si limiterà a riconoscere a parole il concetto di autonomia strategica europea, proprio come ha fatto il governo uscente.
Tuttavia, molto più deludente per gli europei sarà la repentina scoperta che Olaf Scholz è un convinto conservatore fiscale, alla pari dei suoi predecessori, Wolfgang Schäuble e Peer Steinbrück, il socialdemocratico ideatore del freno all’indebitamento. Possibile ministro delle finanze per una coalizione «semaforo» sarà Christian Lindner, capo della FDP e falco in materia di fiscalità. Lindner si oppone persino all’idea di assicurazione dei depositi europei, una materia che ricadrà nel suo portafoglio. Né Scholz, né Lindner, né i Verdi hanno intenzione di rischiare il loro capitale politico sulla riforma del patto di stabilità europeo. E poiché considerano il freno all’indebitamento come la diretta attuazione a livello nazionale delle regole di stabilità europee, la decisione di rispettare appieno questa misura consentirà loro un risicato spazio di manovra per le riforme. Prevedo che accetteranno un simile grado di flessibilità per il patto di stabilità di cui si sono dotati, ma questo corrisponde a noccioline macroeconomiche in confronto a quanto i sostenitori delle riforme del patto di stabilità avevano sperato. Una coalizione «semaforo» non potrà permettersi di gestire una stringente politica fiscale in patria e consentire altrove, nella zona euro, lo sforamento di bilancio.
La nuova coalizione ama definirsi una forza di modernizzazione in ambito tecnologico, non nell’arte di governare. L’Europa è stata del tutto esclusa dagli argomenti dibattuti in campagna elettorale. Si può affermare che il decennio ideale per le riforme europee abbia coinciso con quello appena trascorso, quando l’Europa si è illusa nella convinzione che il meccanismo di stabilità rappresentasse una risposta adeguata e sufficiente per affrontare i molteplici problemi di governance della zona euro. Quell’occasione è stata sperperata per i motivi che ho illustrato più volte.
Il decennio appena iniziato riguarderà l’informatizzazione e gli investimenti sulla transizione ecologica. Quando l’Ue sarà finalmente pronta ad accordarsi sull’unione bancaria e dei mercati finanziari, si scoprirà a quel punto una cripto finanza tamente sviluppata da rendere antiquata e obsoleta la nozione stessa di un’unione bancaria, o del ruolo delle banche. La tecnologia corre più veloce delle riforme europee. La Germania, a mio avviso, si vede in futuro come socio minoritario della Cina in campo tecnologico, fingendosi al contempo un fedele alleato degli Stati Uniti e un buon partner europeo in seno all’Unione.
Tra i molti spunti di riflessione che scaturiscono da questa sequenza di eventi, non dimentichiamo che le occasioni storiche – come la crisi del debito sovrano dell’euro – non si prestano a essere semplicemente accantonate o rimandate nel tempo. Le occasioni mancate in questo decennio difficilmente si ripresenteranno nel prossimo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *