25 Novembre 2024

Oggi la definizione delle risorse con i ministri, poi venerdì il Cdm

La Germania libera il Recovery, ma in Italia, il Paese destinatario della parte più cospicua di aiuti, le cifre definitive dei vari capitoli del piano si capiranno solo domani. Alle dieci di mattina, quando Mario Draghi riunirà a palazzo Chigi i ministri coinvolti in prima linea. Il premier tirerà le somme del lavoro portato avanti con Bruxelles nelle ultime ore. Si partirà da lì per assegnare i soldi alle sei missioni del piano. Alcune cifre ci sono già, ma hanno ancora la forma della forchetta: tra 63 e 69 miliardi al green, mentre il titolare della Salute Roberto Speranza chiederà la conferma dei 19,7 miliardi previsti nel piano messo a punto dal governo Conte. Il dato della discontinuità è invece fissato: più soldi per i nuovi progetti rispetto al vecchio Recovery plan. E c’è però anche un elemento di fibrillazione interna al Governo – il taglio del superbonus che agita i 5 stelle – a dire che i giochi sono ancora aperti.
Draghi vuole inviare il piano a Bruxelles entro il 30 aprile e ha in mente come arrivare a quella data. Domani la definizione delle risorse con il ministro dell’Economia Daniele Franco, il titolare della Transizione ecologica Roberto Cingolani, quello dell’Innovazione Vittorio Colao e quello per le Infrastrutture Enrico Giovannini, oltre a Speranza. Il giorno dopo, venerdì, il Recovery arriverà sul tavolo del Consiglio dei ministri. Poi ancora, lunedì e martedì le comunicazioni in Parlamento. E – questa è la novità – un nuovo Cdm, tra il 29 e il 30 aprile, per il via libera definitivo al testo da inviare alla Commissione europea. Ognuno di questi passaggi risponde a una necessità. Il passaggio preliminare in Cdm per aprire a una prima condivisione con tutte le forze di maggioranza. E questo perché il testo del piano rimarrà blindato fino a domani. Conosciuto solo a Franco e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli. Il doppio Cdm, con in mezzo la presentazione del piano alla Camera e al Senato, per coinvolgere il Parlamento. Più un atto di cortesia istituzionale dato che le aule non avranno comunque la possibilità di modificare il testo, ma la volontà di palazzo Chigi è quella di dare comunque un segnale.
Ognuno di questi passaggi dovrà tenere conto di tutto quello che è ancora irrisolto. Se il vertice di domani con i ministri servirà a fissare il perimetro dei soldi, il Consiglio dei ministri di venerdì e quello a ridosso del 30 aprile dovranno sciogliere i nodi politici. I 5 stelle hanno già messo le mani avanti: “Il Parlamento ha chiesto la proroga del superbonus 110% almeno fino al 2023. Il nostro sostegno al Piano nazionale di ripresa e resilienza dipende anche da quanto il governo avrà recepito le indicazioni delle Camere”. Una linea netta per dire no all’ipotesi di un taglio della misura sponsorizzata proprio dai grillini e che va però rifinanziata se vuole essere mantenuta in vita. L’altra grande questione di contenuto è l’assetto generale dei progetti. Il Recovery plan potrà contare su 191,5 miliardi, un po’ meno dei 196,5 miliardi del piano Conte, approvato il 12 gennaio. Ma il Fondo da circa 30 miliardi, finanziato dal Governo in deficit e spalmato fino al 2026, porta il totale a 221,5 miliardi. All’interno di questo perimetro crescerà la quota destinata ai nuovi progetti. E questo spiega che mentre la cornice resterà simile a quella del piano di Conte, il contenuto potrebbe variare sostanzialmente. Non solo perché ci sarà più spazio per progetti inediti, ma anche perché molti dei progetti esclusi saranno ripescati con il Fondo. I progetti in più varranno 46,5 miliardi, finanziati con il Fondo e con circa 13 miliardi di prestiti che da sostitutivi diventano aggiuntivi. Quello che resterà sospeso anche dopo l’invio del piano a Bruxelles sono due questioni cruciali per i prossimi mesi: la governance, cioè chi gestirà i soldi del Recovery, e le semplificazioni, cioè le regole per spendere le risorse velocemente.
Intanto la buona notizia arriva da Karlsruhe: la Corte Costituzionale tedesca respinge il ricorso presentato da Bernd Lucke, fondatore del partito di ultradestra Afd che poi ha lasciato il partito, contro il Next Generation Eu. Più precisamente: contro la legge, votata a larghissima maggioranza dal Bundestag e dal Consiglio delle regioni, sull’introduzione di nuove risorse proprie europee (digital tax, carbon tax, tassa sulle transazioni finanziarie) a garanzia del debito comune che la Commissione Ue maturerà per raccogliere sui mercati i 750 miliardi del pacchetto di aiuti anti-covid. Ora, il presidente della Repubblica federale tedesca può firmare il provvedimento e in questo modo il recovery fund guadagna la ratifica di un altro Stato membro: ne mancano all’appello altri 9, soprattutto a est, ma a Bruxelles confidano che entro giugno il processo sarà completato, condizione necessaria perché la Commissione possa emettere bond sul mercato ed erogare l’anticipo del 13 per cento a ogni paese che abbia il piano di ripresa pronto e approvato da Bruxelles.
Ursula von der Leyen si congratula: “L’Ue è sulla buona strada per la ripresa economica, dopo una pandemia senza precedenti. Il Next Generation Eu aprirà la strada per una Unione europea più verde, resiliente e digitale”. “La decisione della Corte Costituzionale tedesca è importante in Germania ed è un grande passo avanti sulla strada del piano europeo di Recovery”, scrive in un tweet il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni. “Una buona notizia che rafforza la fiducia che il processo di ratifica della decisione sulle risorse proprie sarà finalizzato, come avevamo previsto, entro la fine di giugno”, dice il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis, ciò “consentirebbe l’avvio dei finanziamenti a luglio, ovviamente soggetto all’approvazione dei piani di ripresa e resilienza degli Stati membri”. “La strada è chiara per la Germania per finalizzare la ratifica per il finanziamento del fondo di recovery dell’Ue. Quanto prima i restanti Stati membri completeranno la ratifica, tanto prima potremo riprenderci da questa pandemia”, commenta il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli.
Va detto che la Corte Costituzionale tedesca dovrà ancora decidere nel merito del ricorso e annuncia che in caso di problemi potrà rivolgersi alla Corte di Lussemburgo. A leggerla attentamente, la sentenza suona un po’ come un altolà ad eventuali progetti di rendere il Next Generation Eu permanente: per i giudici di Karlsruhe, significherebbe scavalcare le prerogative dei Parlamenti nazionali. Ma per ora la Corte si allinea all’impostazione europeista del governo e valuta che i danni da un eventuale stop al piano sarebbero un disastro sia per il ruolo della Germania nell’Ue che per la coesione della stessa Unione. E poi, argomentano i giudici, l’introduzione di nuove risorse proprie è di fatto una garanzia per il rientro dal debito che verrà creato per avere le risorse del Next Generation Eu: in questo modo, gli Stati ad alto debito sono meno esposti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *