16 Settembre 2024
Mattarella3

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Le parole di Salvini, il tweet furioso di Meloni, il catenaccio di Letta, la gioia dei peones, la processione dei capigruppo, il caso-Giorgetti. Fino all’applauso finale, che fa calare il sipario su una settimana surreale

La svolta della settimana che – per la seconda volta nella storia – ha visto la rielezione del capo dello Stato è alle undici del mattino del sabato. Matteo Salvini ha appena annunciato il sì alla rielezione di Sergio Mattarella. Si ferma un attimo in un angolo, al secondo piano di Montecitorio: «Io il grande sconfitto? Ho fatto diciotto riunioni, tutte inutili. Ho proposto nomi importanti, tutti bruciati. Ho detto alla sinistra: fateli voi, i nomi. Hanno risposto: Belloni, e poi se la sono bruciata loro. Basta. Mattarella resta al Quirinale, Draghi a Palazzo Chigi, i ministri e i parlamentari al loro posto»; e che cominci la campagna elettorale, l’unico contesto in cui Salvini dopo i disastri di questi giorni si sente davvero a proprio agio.
Giorgia Meloni twitta: «Salvini propone di andare tutti a pregare Mattarella di fare un altro mandato. Non voglio crederci». Parole quasi sprezzanti per sancire che il centrodestra non esiste più, a questo punto ognuno per sé; e la Lega potrebbe prenderla in parola e lanciare la riforma proporzionale, graditissima ai democristiani del Pd, ai 5 Stelle e a Forza Italia. Dal suo letto d’ospedale, Berlusconi fa sapere che va bene così: se il capo dello Stato non può essere lui, meglio che non sia nessun altro; si va avanti con quello che c’era già.
In Transatlantico, Enrico Letta ha rimesso gli occhiali, che alle maratone tv si toglie perché la mascherina li appanna. Ha adottato la tecnica del Padova di Rocco, il catenaccio; è rimasto fermo, lasciando che gli altri andassero a sbattere. Ora dice: «Il Mattarella bis era il nostro sogno. È diventato realtà». Draghi però avrebbe garantito il Paese per sette anni; se nel 2023 la destra avrà la maggioranza in Parlamento, cosa accadrà? «Cercheremo di evitare che la destra abbia la maggioranza in Parlamento». Il ministro Andrea Orlando: «Aspettiamo a esultare, Salvini sarebbe capace di bruciare pure Mattarella». «Sergio è ignifugo» lo rassicura un peone. I peones, loro, sono decisamente allegri: sentono di aver sconfitto i tecnici e soprattutto di aver salvato lo stipendio, e pure la pensione.
Oltre a quelli del Pd, anche i grillini votano in massa Mattarella già nell’inutile rito del mattino: alla fine sono 387 le schede per il presidente. Dieci irriducibili votano Pierferdinando Casini, che si fa vivo rinunciando fuori tempo massimo a una candidatura a cui nessuno ha mai messo il veto, ma che non ha mai convinto davvero nessuno. Mario Draghi ha due voti, gli stessi di Emilio Scalzo, leader No-Tav finito in galera per aver picchiato un gendarme francese («se avesse picchiato uno dei nostri non gli sarebbe successo niente» mormora il questore della Camera Edmondo Cirielli, Fratelli d’Italia, ex carabiniere). La rielezione di Mattarella evita al premier l’umiliazione pubblica, ma pure la sua figura esce un po’ appannata: non aveva nascosto di tenere al Quirinale, e quasi tutti i partiti hanno fatto di tutto per non mandarcelo.
Alle tre di pomeriggio la penosa processione dei capigruppo – tra cui molte donne: Boschi, Bernini, Malpezzi, Serracchiani, Unterberger… – sale al Colle per implorare Mattarella di accettare la rielezione. Subito dopo arrivano al Quirinale pure i presidenti di Regione, sollevati: «I nostri elettori si lamentavano, i voti per Terence Hill e Nino Frassica li facevano molto arrabbiare». Giani (Toscana) racconta che Mattarella non appariva poi così affranto, anzi, «mi è parso soddisfatto, pronto ad andare avanti. I suoi collaboratori, Zampetti, Guerrini, erano felicissimi».
Al di là dell’enfasi mediatica su scatoloni, traslochi e caparra della nuova casa , che alla lunga potrebbe non avergli giovato, il presidente era sincero quando sperava di avere un successore. Ha preso un Paese gonfio di risentimenti antieuropei e antisistema, e si apprestava a lasciarlo con il più europeista dei governi, sostenuto dalle forze un tempo antisistema. Nei mesi più duri della pandemia ha rappresentato lo spirito di resistenza degli italiani. Dalla rielezione, per quanto storica, ha tutto da perdere. C’è un unico precedente: nel 2013 Napolitano maltrattò i grandi elettori che lo acclamavano, chiedendo riforme costituzionali che non hanno fatto una bella fine, mentre lui si dimetteva dopo due anni. Mattarella è stato chiaro su questo punto: non esiste l’istituto della rielezione a tempo; il presidente è arbitro del proprio destino.
Alle quattro e mezza del pomeriggio ricomincia per l’ultima volta la sequenza della chiama, delle mani da disinfettare, delle schede: la segretaria generale del Senato Serafin le apre, Fico le legge, la Casellati, che si è ripresa, le verifica. Ovviamente ora sono tutti i migliori amici di Mattarella. Clemente Mastella, che non vota – lo fa per lui la moglie senatrice – ma viene qui tutti i giorni, rievoca quando non avevano ancora trent’anni, «io ero capufficio stampa della Dc, Sergio era direttore del Popolo, e ci alternavamo come editorialisti. Poi lui diventò ministro, io sottosegretario: dovevo andare agli Interni con Gava, ma Sergio mi disse: Gava non ti vuole, perché non vai con Martinazzoli alla Difesa?».
Un capannello di parlamentari toscani sta parlando ovviamente di Renzi: «Stavolta Matteo non ha fatto il king-maker, ma ha bruciato prima Frattini, poi la Belloni. Questa notte la capa dei servizi avrà sfogliato il suo dossier, alla ricerca di qualcosa che non fosse ancora uscito…Matteo stesso l’ha detto: “Se adesso sparisco…”». Ovviamente scherzano. Non era una burla però il trionfale tweet di Grillo — « Benvenuta Signora Italia, ti aspettavamo da tempo» — scritto quando ormai la candidatura Belloni era stata affossata. Insomma i leader non ci stanno capendo più nulla. Si affaccia Conte, a esprimere soddisfazione nella sua neolingua borbonica: lui avrebbe preferito una donna, ma i gruppi erano per Mattarella, quindi va bene così. I 5 Stelle sono i più numerosi e i più divisi, infatti finiranno per scindersi tra i puri e i governisti, ma per il momento hanno retto anche se in serata esplode lo scontro Conte-Di Maio. Tra i forzisti colpiva la gioia maligna con cui molti hanno accolto la bocciatura della Casellati.
Micciché, sicuro fin dall’inizio della rielezione di Mattarella, spadroneggia: «Se volete vi do anche i numeri del Superenalotto e i vincitori delle corse ippiche, la schedina l’hanno purtroppo abolita». La Meloni apprezza meno la sicilitudine: «Siamo al Gattopardo, tutto deve cambiare affinché nulla cambi. Noi votiamo Nordio». Alla fine l’ex pm avrà 90 voti, 27 in più dei grandi elettori di Fratelli d’Italia: forzisti che gradirebbero tornare in Parlamento con l’amica Giorgia. Mattarella segue lo spoglio nel suo appartamento privato al Quirinale, insieme con i figli, i nipoti, i collaboratori; prepara qualche parola da dire agli italiani, in attesa di parlare alle Camere la prossima settimana. Ex deputati che proprio non riescono a dimenticare la politica fanno l’aperitivo alla buvette.
Alla fine, quando il rito consacra l’eletto anzi il rieletto, si crea sempre un’atmosfera, se non di solennità, di serietà. Alle 8 e 20 si arriva a quota 505, un grande applauso saluta idealmente Sergio Mattarella, anche se la pandemia impone pure qui il distanziamento. Letta dà il cinque a Fiano, Malpezzi, Serracchiani e al tesoriere Verini, che raccoglie matite elettorali per ricordo. Da destra applausi brevi, non c’è molto da festeggiare, il leghista Claudio Borghi si incupisce: «Molto buia è la notte». Giorgetti smentisce le voci di dimissioni, ma vuole portare Salvini da Draghi per parlare di un anno di governo che sarà durissimo.
Alle 20 e 44 Fico legge il responso, Mattarella ha 759 voti, ne mancano qualche decina. I grandi elettori si scattano a vicenda foto ricordo. Arriva Conte, di persona è decisamente più sciolto che in tv, abbraccia Letta, si fa i selfie – «fate presto che non riesco più a trattenere la pancia» – con i grillini, prudentemente si fa ripetere il loro nome; nel frattempo Di Maio chiede un «chiarimento politico».
I ministri del Pd assicurano che non c’è stata nessuna regia occulta, che ha contato molto la spinta dal basso del Parlamento, che ha cominciato a votare Mattarella anche quando la consegna era scheda bianca. Il messaggio dei peones era per Draghi: sentono di non contare molto più di nulla, sorvolati dai voti di fiducia, irrisi dai social; ma il capo dello Stato lo eleggono ancora loro; il tempo dirà se è stata lungimiranza oppure orgoglio.
Fuori nella notte attendono le autoblù, che portano Casellati e Fico sul Colle. Da Mattarella poche parole: le sue «prospettive personali» erano altre, ma l’emergenza sanitaria, economica, sociale, la volontà del Parlamento, il senso di responsabilità impongono di «non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati». Nel Transatlantico ci si congratula l’un l’altro, si ha fretta di dimenticare. Le trattorie attorno sono tutte prenotate. La vita incombe: la pandemia, le bollette, il Pnrr, l’inflazione, pure l’Ucraina, invocata di continuo anche se a nessuno importa nulla.
Cala il sipario, con un certo sollievo degli spettatori, su questa settimana surreale: i superalbi di Diabolik dell’on. Cantone, l’esilarante e melanconico resoconto sgarbiano delle telefonate tra Berlusconi e gli scoiattoli, il deputato in Ferrari, le ambulanze che ancora ieri mattina portavano a votare scheda bianca qualche parlamentare positivo al Covid mentre a duecento metri da Montecitorio una donna moldava morente aspettava un’ambulanza vera per un’ora, il leggendario Toninelli che esordisce «oggi è il giorno del silenzio» e poi arringa le telecamere per venti minuti, l’onorevole No Vax Sara Cunial che contesta la legittimità dell’elezione perché lei non ha potuto votare; e i tanti dettagli della commedia del potere impotente, i mille piccoli disgusti di se stessi – direbbe Rostand – che alla fine non fanno un rimorso pieno, ma un malessere oscuro.

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