Sarebbe opportuno un ripensamento sulla riforma per evitare che in un possibile referendum i cittadini votino non pro o contro una legge ma pro o contro la magistratura
La cosiddetta separazione delle carriere non ha nulla a che vedere con l’amministrazione della giustizia. Si tratta di un tentativo di riequilibrio dei rapporti tra politica e magistratura, a vantaggio della politica, dopo circa mezzo secolo di primato della magistratura. L’esigenza è fondata; tuttavia non vanno sottovalutati i rischi della soluzione proposta.
Separare dai giudici i circa 1500 pubblici ministeri e costruire per loro un apposito CSM, distinto dal CSM dei giudici, significa creare una nuova corporazione giudiziaria del tutto autogestita. Una sorta di superpolizia, priva di controlli, separata dai giudici, autogovernata, dotata di formidabili poteri di ingerenza nella vita dei singoli, delle famiglie, delle imprese e della stessa politica, con rischi rilevanti per le libertà di tutti i cittadini. Si tratterebbe di una istituzione illiberale sconosciuta ai paesi civili.
Tra i sostenitori della riforma ci sono molti parlamentari dotati di competenza e di esperienza, che non possono ignorarne i rischi. L’alternativa è inevitabile. Questi parlamentari o ritengono che una soluzione «punitiva» per la magistratura sia comunque necessaria, costi quel che costi, anche a danno della libertà dei cittadini e della stessa politica, per ottenere un riequilibrio dei poteri. Oppure ritengono che questo sia solo un primo passo per giungere al controllo politico del pubblici ministeri e quindi della intera giustizia penale, visto che l’iniziativa per avviare un processo penale spetterebbe comunque al pm. Sarebbe comunque necessario un ripensamento.
Nel dibattito parlamentare molti hanno portato gli esempi di Francia e Germania dove le due funzioni, di giudice e di pm, sono distinte. È vero, ma esistono decisive differenze: in quei paesi i pm dipendono dal ministro della giustizia, l’azione penale è discrezionale e il passaggio da una funzione all’altra non è vietato, come sarebbe da noi, anzi è ritenuto, soprattutto in Francia, un titolo di merito perché arricchisce l’esperienza professionale. Pertanto le critiche al progetto, sfrondate dalla tendenza alla difesa dell’esistente, andrebbero considerate con attenzione perché pongono una questione di libertà: sono a rischio l’attività politica e alcuni fondamentali diritti dei cittadini: alla reputazione, alla riservatezza, alla libertà personale, alla proprietà. Piuttosto c’è un diverso e più serio problema da affrontare. Una recente circolare del CSM, di ben 181 pagine, prevede una gestione paraassembleare delle procure sollevando i singoli sostituti dai vincoli gerarchici, necessari invece per assicurare una parità di trattamento per tutti i cittadini.
Senza un vincolo gerarchico, avremmo nelle Procure una sorta di policentrismo anarchico: 1500 pm titolari della politica criminale del Paese che possono seguire modalità diverse da caso a caso. Un rischio già oggi presente, che andrebbe rimosso, non potenziato, come avverrebbe con questa riforma. Ultima osservazione. Si sente parlare della partecipazione attiva dei magistrati alla quasi certa campagna referendaria. Capisco le motivazioni, ma sarebbe opportuno un ripensamento per evitare che i cittadini votino non pro o contro una legge ma pro o contro la magistratura, che così diventerebbe parte di un conflitto politico.