Fonte: Corriere della Sera
di Mauro Magatti
In diversi Paesi come l’Italia il problema legato all’insoddisfazione nasce da una generale inefficienza delle istituzioni e dal malcostume diffuso nel ceto politico
Siamo in un momento storico in cui la democrazia non gode di buona salute. A dirlo — confermando i dati di altre ricerche — è un recente rapporto pubblicato dall’autorevole istituto americano Pew Research Center, che ha indagato gli orientamenti della popolazione in 27 Paesi di tutto il mondo. Dall’analisi emergono tre questioni che riguardano da vicino anche il nostro Paese.
La prima è che a incidere sul giudizio nei confronti della democrazia è soprattutto la capacità delle istituzioni di ottenere risultati in termini di bene comune. In sostanza, al governo si chiede di organizzare, in modo onesto e trasparente, ciò che è necessario per il buon funzionamento della società. La ricerca dice che, in media, il 52% degli intervistati non è soddisfatto di come vanno le cose nel proprio Paese. Ma questo dato medio nasconde differenze assai rilevanti. Opinioni in maggioranza positive si hanno, per esempio, nei Paesi del nord Europa (Svezia e Olanda sono al 65%, la Germania è al 56%), mentre nel sud Europa la Grecia è al 16%, la Spagna al 20% e l’Italia al 29%. Ovunque si è peraltro convinti che ben poco cambia al variare di chi vince le elezioni. Al di là di destra e sinistra, le performance istituzionali risentono di un background culturale che costituisce il vero snodo di ogni democrazia. Nel caso dell’Italia — e degli altri Paesi del sud Europa — il vero terreno su cui occorre misurarsi per rilanciare l’ordine democratico è proprio la cronica e diffusa inefficienza istituzionale.
Il secondo aspetto riguarda il nesso tra insoddisfazione verso la democrazia e condizione economica. A conferma di quanto già sappiamo — e cioè che la democrazia prospera dove c’è sviluppo economico — la ricerca appena pubblicata fornisce alcuni dati preoccupanti. Qui le differenze significative non sono solo tra Paesi, ma anche tra gruppi sociali. In Italia, in particolare, tra coloro che pensano di trovarsi in una situazione economica positiva la soddisfazione verso la democrazia raggiunge il 77%, mentre scende al 33% tra coloro che ritengono di essere svantaggiati. Si tratta di un divario molto ampio su cui si dovrebbe riflettere con attenzione. Il rischio è che coloro che si definiscono «democratici» siano, in realtà, i vincenti della fase storica che stiamo vivendo. Mentre sentimenti antidemocratici si vanno diffondendo tra i gruppi che sopportano le conseguenze più pesanti del declino del Paese. Una deriva molto pericolosa: come insegna la storia, quando le differenze di classe non riescono più a trovare espressione e soddisfazione all’interno dei circuiti istituzionali, la democrazia corre pericoli seri. Rischio che diventa ancora più alto nel momento in cui è possibile scaricare su bersagli esterni il risentimento crescente. Esattamente quello che sta succedendo in questi anni con l’Unione europea e gli immigrati. Due fenomeni che, come la stessa ricerca in oggetto mostra, sono considerati i due «veri» problemi da risolvere. Il cortocircuito è così evidente: la democrazia non funziona; l’insoddisfazione cresce; la compattezza popolare si riconquista combattendo contro un nemico esterno invece che risolvendo i problemi interni.
La terza questione riguarda la corruzione e la scarsa fiducia nei confronti del ceto politico e più in generale delle istituzioni. I dati per quanto riguarda l’Italia sono anche qui piuttosto negativi: il 70% degli intervistati ritiene che i politici siano tutti corrotti, con livelli paragonabili a quelli registrati nei Paesi africani (in Nigeria siamo al 72%) o asiatici (in Corea del sud al 65%), e doppi rispetto ad altri Paesi europei (la Germania, per esempio, è al 33%). Abbiamo dati sconfortanti anche per quanto riguarda la percezione di poter esprimere liberamente il proprio pensiero (43%), l’aspettativa di ricevere un trattamento equo quando si ha a che fare con la giustizia (23%), di disporre di realistiche possibilità di miglioramento della propria condizione di vita (28%). Insomma, una larga fetta di popolazione non solo pensa di doversela cavare da sola, ma anche di essere danneggiata dal fatto di vivere in una democrazia.
Dalla ricerca esce dunque un quadro piuttosto fosco. Lo stato della democrazia oggi è fragile. Un po’ dappertutto. Le difficoltà si sono accentuate negli ultimi anni, dato che l’economia non riesce più a garantire un benessere diffuso. Solo la capacità delle istituzioni di dare risposta ai problemi quotidiani delle persone attenua l’insoddisfazione. Dove questo non succede, la sfiducia raggiunge indici allarmanti. In Paesi come l’Italia, più che l’alternanza destra sinistra, il problema nasce da una generale inefficienza delle istituzioni e dal malcostume diffuso nel ceto politico: due elementi che nel corso dei decenni hanno scavato un solco profondo tra cittadini e istituzioni. E che 10 anni di crisi hanno reso ancora più profondo. Se si vuole essere realisti, occorre riconoscere che non siamo lontani dal punto di non ritorno. Qui non ci sono maggioranza e opposizione. Tutti coloro che tengono alla democrazia in Italia dovrebbero prendere atto che è dalla sua legittimazione che bisogna, tutti insieme, ricominciare. Prima che sia troppo tardi.